Territorio e identità

 

 

TURRE 3               Territorio e identità

di Maurizio Mazzotta

 

Un aeroporto, Francoforte, non -come di norma- folla composta e silenziosa, c’è qualcosa di diverso, c’è confusione, suoni, voci  concitate, gente che si affanna, parlate sconosciute, gli altoparlanti più aggressivi del solito, persino gli avvisi acustici martellano le tempie, ma ecco… una frase, un accento! Una voce di bambino scandisce un particolare modo di dire una frase: la riconosco, è mia! Una frase, che è mia! La cerco e trovo un bimbetto che parla ad alta voce alla sua mamma che lo tiene stretto per mano.

È accaduto. Accade. Quanto più siamo lontani dal nostro territorio tanto più ci piace ascoltare e parlare la nostra lingua, ci commuove a volte. Nel caso nostro la lingua  salentina, il dialetto. Anche quando chi parla si esprime in italiano con le caratteristiche “O” aperte”, con la “z” sempre sonora. Il motivo? Perché ci ricordiamo a chi apparteniamo e chi ci appartiene.

Dunque bisogno di appartenenza. Io appartengo alla mia casa di campagna, dove ho fantasticato da piccolo e da grande. Il folto del vigneto antico, la selva dei ficodindia piena di insidie, gli ulivi che accendono la fantasia con le loro straordinarie movenze. E la casa! Con ìl fresco dei muri doppi che ci soccorrono nella controra di luglio. La casa di campagna appartiene a me. Questo è scambio.

Ma il bisogno di appartenenza è sostenuto dal bisogno di identità. Appartengo e mi identifico dunque sono.

E non sono soltanto io. In un territorio c’è un gruppo, anzi più gruppi di persone.

Cosa si scambiano in un territorio le persone che ci vivono? L’aria, la luce, il vento. I colori, i suoni, gli odori. Alberi, piante, pietra… e via via fino al linguaggio. Il linguaggio esprime la cultura di un gruppo, di un territorio e la veicolano.

Bisogno di appartenenza e bisogno di identità creano   legami tenaci e forti, tenui o sottili. Certo dipende dalle esperienze, dal vissuto, sono comunque legami reali. Esistono.

Ma il bisogno di identità è più complesso.

Un giorno feci una scoperta osservando una coppia di amici e il loro stare insieme. Notai che uno dei due quando riferiva su ciò che riguardava entrambi, si esprimeva immancabilmente con IO IO IO. Esempio “Ho comprato un nuovo divano” invece di “Abbiamo comprato un nuovo divano”. Conclusi che quella persona non aveva compreso per niente il significato della stare insieme, del condividere. Dell’essere parte di un “insieme” più ampio. Da allora mi sono sensibilizzato  e – quasi una compulsione – non posso fare a meno di osservare quanta gente è incapace  proprio di ciò che dovrebbe caratterizzare l’essere umano. E pensai allora ai ragazzi undicenni della mia breve esperienza a scuola, tanti anni fa, come insegnante. Al termine dell’anno scolastico mi complimentai con me stesso, perché avevano cominciato con un IO SPIETATO e a giugno erano diventati uno SPLENDIDO NOI. Il che dimostra quanto le capacità relazionali non siano soggette alle variabile dell’età e dell’esperienza. Ci sono bambini che capiscono il senso dello stare insieme e adulti che non ci riescono.

Riconoscersi in un gruppo, sentirsi di far parte, di essere in un  insieme, di appartenere a un territorio e a una cultura. Non è sufficiente concludere che l’uomo è un essere sociale, conviene approfondire quali sono i fili e le trame, con i quali ci agganciamo l’un l’altro. Sì, conviene indagare perché spesso sono fili che si spezzano, trame che si deteriorano e commettiamo azioni contro natura. Non diventeremo mai ALTRI. Molti vanno a vivere in una città sconosciuta e quando tornano nella loro, d’origine, parlano (ci provano) con un accento che non può che essere falso.  Questa è azione contro natura perché chi la compie rifiuta se stesso. Accade di peggio! Ho letto in internet la proposta di festeggiare in Italia il giorno del Ringraziamento. Scegliere modelli di un’altra cultura è azione contro natura. In genere si è attratti dalla cultura dominante (e ciò la dice lunga sul rifiuto di se stessi e della propria storia).

Ora voglio dire invece qualcosa di entusiasmante sulle condizioni  che generano spontaneamente il NOI. Sto pensando ai gruppi naturali, ovviamente la famiglia, ma anche ai gruppi territoriali, che si riconoscono soprattutto per  il linguaggio. Ma il NOI germoglia pure nelle unioni per condizioni  di vicinanza: pensiamo a scuola, alle classi; ai gruppi di lavoro molto coesi (specie all’inizio). E il NOI  -ovviamente – è proprio dei gruppi di persone che si scelgono, come gli amici (vedi gli adolescenti), o ancora la coppia. Il fenomeno della imitazione nella coppia assume un significato romantico…. Ci si scambia intercalari e gesti e pensieri.

In un gruppo, piccolo o grande che sia, appaiono dei fenomeni che possono essere posti su un continuo. Al centro di questo continuo c’è la coesione, che è ciò che caratterizza il gruppo, nel bene e nel male. Senza la coesione il gruppo non esiste. Può essere debole o forte, ma se le persone continuano a stare insieme c’è coesione: sono un gruppo.

Se la coesione è al centro del “continuo” di fenomeni, cosa c’è  da una parte e dall’altra di questo continuo?

Da una parte c’è la divergenza, dall’altra la identificazione. Entrambe positive e funzionali,  perché la prima fa crescere il gruppo, produce il cambiamento quindi nuova cultura; la seconda mantiene la cultura del gruppo e la sua sopravvivenza, importante per lo  stare insieme nel gruppo, in quanto ci si identifica e si imita chi si stima e chi si ama. Assumere inconsapevolmente atteggiamenti e comportamenti dei membri è sintomo della costituzione reale del gruppo.

 

DUNQUE l’uomo nel gruppo ha bisogno di imitare. Che  si accentua poi con l’identificazione. Identificarsi è un po’ di più di imitare.  Imitare la persona a cui si è legati da affetto, è come se volessimo conservare dentro di noi qualcosa di questa persona. Identificarsi è come se volessimo essere proprio la persona che amiamo. Da adulti, anzi forse da vecchi ci scopriamo che somigliamo a nostro padre/madre.

Eppure andiamo oltre: ampliamo lo spazio in cui siamo immersi, lo dilatiamo, e superiamo i genitori, superiamo le guide - buone - che abbiamo avuto: insegnanti, dirigenti. Coloro che ci hanno insegnato tanto, che ci hanno dato tanto, persino appunto se stessi. Forse è meglio dire che ce li siamo presi.

Appartenenza e Identità producono sicurezze: NON SIAMO SOLI! Appartenenza e identità producono certezze: ABBIAMO RADICI. Bisogni che si dilatano, vanno oltre le persone, inglobano gli oggetti e non è più soltanto imitazione, è di più: è identità: noi siamo aria, luce, vento. Colori, suoni, odori. Alberi, piante, pietra… la lingua che parliamo: parole,  cadenze, intercalari. La lingua con cui ci esprimiamo, che veicola la nostra cultura. Dunque territorio è tutto ciò che in esso è contenuto,  nel nostro caso questo è salentinità. Ecco il successo di cantastorie e poeti che raccontano la nostra storia, che raccontano di noi a noi nella nostra lingua e ci ricordano le nostre emozioni attraverso metafore, che illuminano la testa e accendono il petto.

 

postato in F/B  2.3.21 

 

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