ALTRI RACCONTI

 

ALTRI RACCONTI    maumaz

 

 

L'uomo‑uovo  ovvero La terrificante fierezza della diversità

 

 

 

Sono nato in un anno bisestile, il 29 di febbraio, e dunque compio gli anni ogni 4 anni. Quando avrò cinquant’anni i miei compagni di viaggio saranno morti da due secoli. Ma questa non è l’unica mia caratteristica. 

 

Quando mi affacciai ingrugnato a tutto ciò che avevo amnioticamente presentito passava una corrente d’aria freddissima, e subito: polmonite pleurite paralisi, e rimasi imprigionato in questo involucro testaceo.

 

La mia pelle ha tutte le caratteristiche della membrana vitellina, tipica dell’uobo, liscia bianca flaccida al tatto, gli occhi due palloncini gialli tanto che i medici credettero a un ittero emolitico, infatti all’esame risultò che i miei globuli rossi erano pochini e in mezzo a loro raggrumata la bile;   la testa calva, a causa di quelle febbri fortissime, è l’unica parte del mio corpo completamente visibile. Dunque il guscio ed io siamo una cosa sola e non mi è mai balenata l'idea che la mia natura fosse sconveniente, l’ho accettata, come si accetta il proprio modo di essere con una certa insofferenza, ma con la coscienza irriducibile di trovarsi nelle migliori condizioni di esistenza e le mie sono le migliori condizioni di esistenza.

 

lo sono fortunato, perché non salgo sugli autobus a sentire la puzza del prossimo e toccare i tubi per la presa di sostegno umidi di sudore, roba che schifo, e i  fiati caldi, gli aliti cattivi,  i denti cariati,  le donne grasse con la verdura,  afrorose.

 

Sono fortunato perché non sono in una scatola in mezzo a tante altre su una strada come un nastro che trasporti dai vari punti della città un cumulo di oggetti assai simili, come sono gli uomini nelle loro automobili. Io sono un uomo‑uovo fresco sulla terrazza. 

 

La forma del mio corpo è tra le più perfette del creato, sublime per le sue curve paraboliche, simbolo d'essenzialità e d'au­tosufficienza. Gli uomini al termine finiscono in parallelepipedi di legno: varia appena la qualità.  Io avrò per tomba una culla e sarò invidiato. Una culla, il simbolo della rinascita.

 

Appena nato, mio padre e mia madre per la vergogna morirono, avevano vecchi principi, e mi lasciarono erede di cospicue ricchezze. Vivo di rendita e per questo sono segnato a dito come fossi un malfattore, in realtà è livore che parla. Ne sono certo. Vedo gli sforzi disperati di chi vive con me per farmi dispetti che ricadono sempre su di loro e mi diverto un mondo perché costoro pur col fegato gonfio di invidia rimangono con me. Perché li pago profumatamente.

 

Dunque non posso annoiarmi. Quando anni fa si presentò il mio cuoco e lo ricevetti in salotto,  appena mi vide, assunse l’aria di "eh! la vita riserva tante amarezze " e cominciò a raccontarmi della morte di sua moglie qualche giorno prima. Pretendeva di mettermi a letto, se fossi invalido! e io a mostrargli continuamente che non avevo bisogno di aiuto. Una volta origliando lo sentii redarguire la cameriera che criticava il mio stato. La donna poverina non faceva che manifestare con aperta acredine il suo imperioso desiderio di essermi uguale, lui,  ipocrita, nascondeva con parole indulgenti l'invidia che gli rovistava il fegato. Perché tutti che mi conoscono vorrebbero essere come me. E' un fatto. Lo licenziai dopo appena un mese, quella volta che mi servì a  cena un uovo alla coque.  Si disperava il meschino: lo mettevo in mezzo alla strada, non l'aveva fatto apposta, mi voleva bene, eccetera; poi ci fu la confessione della cameriera, la speranza del cuoco e ancora il pianto e me la godevo tacendo come se mi stessi convincendo. In realtà avevo compreso lo scherzo malignosetto della cameriera, ma non potevo perdere l'occasione di mandar via quell'uomo perfido. La donna è     ancora con me, è sincera perlomeno nella sua pochezza, e più divertente.

 

L’unica mia preoccupazione è il sole, quando è allo zenit della mia sicura esistenza. Allora diventa per me un problema prendere l'abbronzatura e studio se mi conviene star fermo in precario equilibrio, oppure oscillare paurosamente, perché ogni zona del mio uovo sia beneficata, a rischio però di rotolare e farmi male. Accadde la scorsa estate. Ero sul terrazzo a godermi il sole del mattino, cambiavo spesso posizione, obliquoadestra obliquoasinistra, poi decisi di mettermi diritto, ma stanca,  perché mantenere l'equilibrio è faticoso  e allora cominciai a dondolarmi. Il mio movimento è rotatorio e altalenante insieme. In questa maniera mi sposto ma posso anche rimanere in un punto, devo però sempre controllarmi perché se capito nella posizione orizzontale mi è poi oltremodo difficile rimettermi in sesto. Ora quel giorno, vuoi per il caldo, vuoi perché ero contento, trottolavo pericolosamente e persi il controllo del mio guscio. Appena fui in parallelo con i mattoni presi a rotolare. Il mio terrazzo è ampio. Una parete alta quanto la facciata ha erbe rampicanti  e per tutta la lunghezza a terra una aiuola morbida di fiori. L’ ingresso è una vetrata e dietro i tappeti del salotto. Gli altri lati sono parapetti duri di mattoni e contro uno di essi mi dirigevo follemente. Già pensavo di fare la fine di un uovo sbattuto quando la provvidenziale corda messa lì per stendere i panni dalla donna di servizio dispettosa, perché io le ho sempre detto dì annodarla più in alto ché non mi infastidisse,  frenò il mio impeto e anche se sgusciai di sotto arrivai contro il muro e mi incrinai leggermente. Qui sulla coccia sinistra un segno lungo dieci centimetri.

 

E  appena posso esco a prendermelo il sole. Oggi è apparso di un rosso‑mattone e mentre gli vado incontro rabbrividisco al pensiero della mia gioia, della mia singolarità. Nelle aiuole i fiori mi attraggono e mi piego per annusarli;  sono contento e faccio un giro di valzer, la testa piegata all’indietro.   

 

Una macchia nera che non distinguo si muove nel cielo dorato dall’ora pomeridiana. Cerco gli occhiali, ho una leggera miopia e quella cosa lassù mi incuriosisce.

 

Un uccellaccio enorme scende lentamente con grandi ali proprio davanti al sole. Gli grido di andarsene, io poi che odio i volatili!  Ãˆ una cicogna, e mi sento paonazzo di rabbia per tutta quest’ombra che invade il terrazzo. Proprio adesso che il sole al tramonto mi avrebbe tutto compreso.  Gli dico: “Vattene via“, scuotendomi come una trottola.  Le sparerei al di là di qualsiasi divieto se avessi un fucile,  ma intanto mi agito e non trovo soluzione, non smetto di urlare.  Fremo nella mia coccia, non rimane che darle partita vinta: rinunciare al sole per ora e studiare dentro casa il modo di eliminarla.  Decido per il salotto di casa, e mi accingo ad andare  senza guardarla. 

 

Non ho il tempo di intendere e reagire e sono immobilizzato, poi mentre le penne mi solleticano il volto e un odore nauseabondo mi violenta, ho una coscienza terribile e un lampo d’orrore: la cicogna mi è sopra per covarmi. Sento gli occhi gonfi d’ira e la pelle rabbrividisce di ribrezzo, naso e gola chiusi per il caldo, il tanfo è atroce. Mi agito mi scuoto mi ribello, ma le ali hanno una forza smisurata e le zampe lunghe e ossute sono conficcate nel terreno. Continuo una lotta impossibile, infine cerco di convincermi che non c'è niente da fare: evitare che si spacchi il fegato, serbarsi l’odio per dopo. Mi impongo di stare calmo, ma se riesco a dominare i nervi per non far patire il fegato, se supero le sofferenze del caldo e del fetore, non posso fermare il dolore che invade la mente e mi mortifica.

 

Il sole tramonta dai mattoni del pavimento, ma il tempo ristagna come il sudore in ogni dove, e nel mio stesso guscio galleggio. Si avvicina la sera e mi rassegno, appisolato l'odio.  I mattoni si tingono di scuro e tra poco piomberò nel buio, ma il buio è già dentro di me. Non voglio la mia fine, mi urlo nella testa.

 

La notte ascolto uno strano verso, deve essere felice questa bestia maledetta. Io sono spossato e m’invade il torpore. Dormo male, ogni tanto mi sveglio, incubi. Sogno di mia madre e la vedo col becco, gambe magrissime e lunghe, uno sguardo amoroso che mi mette paura; sogno di ca­dere dal terzo piano e schiantarmi; o di trovarmi in un forno e diventare sodo,  aprirsi la membrana,  schiudersi la coccia.

 

E mi sveglio all’alba, al primo frantumarsi della coccia, là dove si trova la ferita procurata dal muro. Un rumore che sgretola e frantuma, il rumore della mia fine. Ma anche una sensazione nuova: gli arti ricevono energia e solidificano, le gambe sono formate e già non mi ubbidiscono sferrando calci, anche le braccia, sento gli omeri gonfiarsi e una tale carica che non controllo. Sono stupito, poi insieme a me si sveglia l'odio verso la cicogna.

 

Il guscio va incrinandosi dappertutto, le crepe allar­gandosi, sono desolato ancora più per l’incoscienza dei miei arti che si stirano e si allungano felici. 

 

Il sole è uscito, torna ad illu­minare i mattoni della terrazza, e vedo la luce più inten­sa, non avevo immaginato che i mattoni avessero tale possibilità di riflessi. Devo accettare il mio stato, mi ripeto, anche se non sarò più felice. Ecco una nuova posizione, i piedi poggiano tutti e due sul terreno, una sicurezza di cui diffido ancora. Le mie braccia hanno voglia di spaccare e spaccano, brani di coccia mi pendono, la cicogna me li stacca col becco. Riprende il chiocciare di questa notte, sono tutto zuppo e finalmente mi libera del suo peso.

 

Rivedo la luce e guardo allibito i resti del mio uovo. Il sole alto pietosamente mi asciuga. Non penso a niente, sono distrutto, anche se un vigore giovane mi serpeggia nelle membra. La cicogna è qui davanti a me, la osservo, ripete quel suono assurdo e allarga le ali come volesse coprirmi. L’idea mi attraversa subito il cervello e afferrare quelle ali e piegargliele indietro,  abbracciarla sul collo con la forza che sento,  Ã¨ un attimo. Le spezzerò il collo, penso quando il furore è al culmine.   Salde le piante dei piedi sui mattoni,  le braccia sotto le ali si congiungono al collo.  La cicogna è muta.  Ma  il  suo collo  parla con sordi scricchiolii.

 

È finita. Il sudore della lotta mi solletica e il sole riprende ad asciugarmi disteso sui mattoni. Un buco si forma nello stomaco, la fame lo allarga a poco a poco.  E ancora l'idea  mi  attraversa d’un subito il cervello.  Madrivoro!

 

 

 

Uomo uovoDa questo racconto è stato tratto il cortometraggio Cuore di mamma. Lo trovi in 

 

https://www.youtube.com/user/mauriziomazzotta/videos

 

05.06.20

 

 



 

ALTRI RACCONTI    maumaz

Mal di testa DCefa ed Emy

 

Quando Cefa ed Emy si catapultarono  nella mia vita  prepotentemente,  sia pure non insieme, prima una poi a distanza di anni l’altra, ero comunque troppo giovane – al tempo di Cefa avevo solo dieci anni - per immaginare che sarebbero entrate in seguito, molto in seguito,  nella mia vita sessuale in modo assai significativo e soddisfacente.

Adesso posso pure descriverle. Cefa era grassottella, cicciona no, no, ma tondeggiante sì, tondeggiante, soprattutto il viso, una fronte ampia, oserei dire bombata, non era proprio piacevole a vedersi, forse per questo non ne fui attratto, perché in effetti a dieci anni avevo già le mie fantasie erotiche e un tipo di ragazza così era assai lontana dalle donnine degli almanacchi profumati che ciascuno di noi, metà bambino metà ragazzo, a quel tempo sfogliava di nascosto.

Appariva, Cefa, spesso dopo pranzi o cene consistenti, al momento della digestione, che era assai lenta. Appariva quasi a reclamare la sua parte, offesa, infastidita per non essere stata invitata e diventava così insistente che mi dava nausea. La notte, la notte soprattutto, mi svegliava, se la prendeva tanto con me che finiva per farmi vomitare, scusate l’espressione. E si allontanava piano piano, come soddisfatta per essersi vendicata. Potete immaginare come mi svegliavo la mattina, dopo una nottata in sua compagnia con l’epilogo cui ho accennato. In aggiunta i miei genitori mi rimproveravano: tu mangi troppo la sera.

Nei miei, col passare del tempo, la preoccupazione aumentava e la frase “ tu mangi troppo la sera † diventava sempre più circoscritta, sicché “ il mangi troppo “ divenne via via: “ mangi troppo formaggio “,  “ ti fa male il cibo  fritto “, “ dovresti escludere  i grassi dalla tua dieta “ e così via finché il medico di famiglia mi palpò. Siccome non c’era granché da palpare mi fecero le analisi; siccome non risultò nulla subentrarono gli specialisti. Mi dissero che avevo lo stomaco allungato e che per questo la mia digestione era lenta. Parlavo di Cefa che mi si presentava anche quando non mangiavo molto, tantomeno grassi e fritti che mia madre aveva eliminato dalla nostra dieta (con grave disappunto delle mie sorelle… ma si sa il maschio è maschio - sto parlando e si è capito di cinquant’anni fa -). Lo specialista faceva finta di non avermi sentito e parlava con i miei, come se il mio parere contasse men che zero.

Dunque quando Cefa cominciò a presentarsi con una certa frequenza io avevo già capito che dovevo contare sulle mie forze e scoprii da solo, prima ancora che a scuola me ne parlassero, il metodo scientifico, che inizia con l’osservazione. Capìi da solo l’importanza dell’ osservazione sistematica, della verifica, della ripetizione dell’esperimento. Peccato! Non ero consapevole di cotanta scoperta, ne sarei stato soddisfatto. Il mio impegno era  capire quali erano gli  alimenti – perché su questo non avevo dubbi nemmeno io – che attiravano Cefa. La ricerca durò anni.

Ai primi tempi dell’università a Roma avevo poche ma sicure certezze, non convinzioni, proprio certezze raggiunte col metodo scientifico (che in quegli anni mi si diceva fosse di vecchia data, tuttavia  presi coscienza che comunque per quanto mi riguardava  l’avevo scoperto io), dicevo certezze valide ancora oggi: le certezze erano che l’aglio, la cipolla, i peperoni (Ahi!  I peperoni ! Rinunciarvi mi duole assai), i farinacei ingeriti a cena,  comunque le cene copiose (su questo, come sappiamo, si espresse per prima mia madre; le madri sono madri intuiscono il vero, sia pure in modo parziale ), attiravano Cefa inesorabilmente. 

E se non mi appariva di notte, appena la scorgevo da lontano mi prendevo un saridon e agli amici, compagni d’università, per gioco, ma non tanto, dicevo che prendevo un analgesico per digerire. Figuratevi gli studenti in medicina degli ultimi anni! Chi mi dava per ignorante, chi mi considerava matto, chi semplicemente sorrideva con aria di sufficienza. Il bello invece era che il saridon funzionava e Cefa rimaneva a distanza e spesso scompariva del tutto. Che il paracetamolo facesse venire la nausea anche a lei? Chissà, può darsi. Intanto però, ad essere sottili, il quesito si ingarbugliava: insomma era la digestione lenta a farmi venire il mal di testa o era il mal di testa che bloccava la digestione? Omino

A quei tempi si è incoscienti: per risparmiare pranzavo alla mensa degli studenti, dove le pietanze inadatte al mio stomaco lungo e delicato vi sostavano  così a lungo che la sera, appena intravedevo la sagoma di Cefa, assumevo prontamente il saridon. Lei si allontanava e io, inappetente, andavo a cena col solo cappuccino. In tal modo  col saridon e il cappuccino saltavo la cena e accumulavo i soldi per ben altre esperienze.

Passarono gli anni e mi trovai laureato, con un lavoro che mi piaceva, con degli hobby  intellettuali e la compagnia delle ragazze. No, non più ragazze nello stesso tempo, sono monogamo (a parte Cefa, Emy e mia moglie). Voglio dire una ragazza dopo l’altra. Non mi risparmiavo, come si suol dire. E verso i trent’anni ecco  Emy che arriva.

Beh sì, come ho fatto con Cefa, per prima cosa ve la descrivo. Avevano poco o niente in comune, solo la definizione generica di “mal di testa “. Cefa è rancorosa, cupa, punitiva;  Emy si distingue per un certo modo di manifestare la sua presenza più da presso e cioè con un tambureggiare che finisce per assumere il ritmo del battito del cuore. Forse per questo, credo, ho finito per innamorarmene. Sì, confesso ho un debole per Emy. Ma quando apparve, benché graziosa e snella non ne fui attratto: non corrispondeva nemmeno lei ai miei modelli di donna. Anzi la trovavo buffa. Avete presente il visconte dimezzato…oppure certi fuoristrada, credo giapponesi o coereani, che vi trovate davanti in autostrada e vi meravigliate quanto sono alti e stretti che paiono appunto tagliati per lungo…Conoscevo una ragazza dalla testa così stretta che ogni volta che notavo quel tipo di fuoristrada pensavo a lei e poi subito, per associazione:  ragazza-ragazza, ad Emy. Svelta, rapida, più docile ai rimedi con i quali la scongiuravo di andarsene, Emy fastidiosa certamente, rimaneva in mia compagnia molto meno tempo, soprattutto non mi annientava come Cefa. Tuttavia mi chiedevo chi mai fosse: era Cefa che si era trasformata? Fui subito smentito. E da dove veniva, chi era, che voleva, quali condizioni la portavano da me? Domande senza risposte, finché non scoprii una sua caratteristica: la puntualità. Un sabato sì e un sabato no.

Ero nella capitale e decisi di rivolgermi a un Centro dove avevo saputo che si studiava il comportamento di Cefa ed Emy. Sapevo da un pezzo che altre persone erano infastidite dalla loro presenza e quindi mi rallegrai di tale scoperta, che cioè ci fossero studiosi che affrontavano esclusivamente un tale fenomeno. Sapete cosa accadde? Fu una grande soddisfazione. Dopo un’intervista mi dettero un fascicolo nel quale “ avrei dovuto rilevare la frequenza e l’intensità delle visite di Cefa e di Emy “. Figuratevi, io efficiente come ero, con che soddisfazione trassi i miei appunti, quelli recenti di Emy, perché quelli di Cefa non li avevo con me, erano rilievi fatti tanto tempo prima sui diari dell’allora Ginnasio. Ma tutto ciò che riguardava Cefa era vivo nella memoria per cui assicurai i medici che mi sarebbe bastata un’ora. Me ne vado di là dissi, sono in grado adesso di riempire il modulo. E quelli: la rilevazione deve essere attuata per la durata di almeno uno o due  mesi e non sulla base della memoria. Guardate  almeno questo lavoro  che riguarda Emy! No, nemmeno quello di Emy vollero vedere. Dovevo prendere in considerazione quel modulo. Perché non accettavano nemmeno il mio lavoro su Emy? Ahi! Pensai, dove regna la burocrazia c’è poca competenza.

Poi ci ragionai su e mi piegai al loro volere. Era indubbio: per quanto riguardava Cefa volevano una completa, precisa e non basata sulla memoria rilevazione di dati. E per Emy non potevano credere - abituati a pazienti superficiali - che ero in grado di consegnargliela sedutastante. Me ne andai però con la soddisfazione che io a quindici anni avevo già pensato a questa fase preliminare di indagine.

Ricostruii - a parte per me - le presenze di Cefa, intanto rilevai le sue comparse per due mesi proprio per verificare di quanto la rilevazione sulla base della memoria si discostasse da quella attuata su richiesta. Le  discrepanze risultarono minime. Ciò che mi stupì invece fu che, riguardo alla frequenza, Cefa ancora superava Emy, la quale invece mi lasciava perplesso per quella sua puntigliosità di venire a trovarmi di sabato.

In quei due mesi di osservazione cercai letture e cominciai studiare. A proposito dei cibi, per esempio, non si parlava di quegli alimenti che facevano impazzire Cefa, ma di tutt’altro, che io mangiavo raramente, come i conservanti degli alimenti in scatola  o la cioccolata, che mi piace sì, ma che mangiavo e mangio raramente. Il vino rosso, ah questo fu un dispiacere! Io invece avevo notato che il vino bianco richiamava Cefa, quello delle osterie romane forse trattato con additivi.

Scoprii, studiando, che si parlava di particolari tipi di persone che venivano infastidite da Cefa ed Emy, soprattutto da Emy. Persone iperattive, efficienti, ansiose, che venivano regolarmente visitate da questa strana metà di ragazza, e proprio il sabato o la domenica. Così c’era una ipotesi sulle visite di Emy dunque.  Mi analizzai. Ero iperattivo ed efficiente? Sì. Ansioso non mi sembrava, a meno che non si intendesse l’ansia del compito, di voler concludere presto e bene l’impegno preso.

Quando tornai dai medici del Centro con le rilevazioni compiute mi dettero un cocktail di farmaci, un protocollo da seguire e un nuovo appuntamento.

Il cocktail funzionò per due mesi, nel senso che diminuirono le visite di Cefa ed Emy. Soprattutto quelle di Cefa. Poi ritornarono le frequenze di prima e ritornai dai medici, nuovo cocktail, incremento di dosi. Risultati gli stessi:  frequenza diradata, presenze più tollerabili. Ma poi ripresa.

Credetemi. Da allora ogni lustro, più o meno, esasperato da queste due fanciulle, ho cercato nuovi studiosi in giro per le regioni del mondo, al di là dei confini delle mie abituali residenze. I risultati sempre gli stessi. Oltre ai rimedi chimici, quante altre esperienze! Di alcune mi vergogno…Ho accettato che mi “imponessero le maniâ€. Ora mi sono convinto che l’ho fatto per studiare il comportamento del pranoterapeuta. In parte è vero. Studiavo la sua mimica, i suoi gesti, il contenuto delle sue frasi: argomento di un altro racconto.

Cefa ed Emy facevano a gara per venire a trovarmi e hanno lasciato segni indelebili nella mia memoria di certe loro visite.

Vi racconto solo di quella volta che vennero prima una e poi l’altra, e  rimasero insieme a farmi compagnia in automobile mentre dovevo ancora coprire trecento chilometri per giungere a destinazione e la strada era abbondantemente innevata, non avevo catene, la neve era un’eccezione in quel periodo dell’anno e per quei territori che dovevo attraversare. La meta era un incontro con una cinquantina di persone nel primo pomeriggio. Con la neve i trecento chilometri diventarono tremila. E con la compagnia di Cefa ed Emy trecentomila.  Perciò a un motel telefonai e risolsi almeno il problema dell’appuntamento.

A quei tempi su quell’ autostrada non c’erano motel con camere. Per cui l’automobile fu testimone di come mi ridussero Cefa ed Emy. Quanto si divertirono quella volta! Ora che le conosco come le mie tasche e ho con loro un altro rapporto, le giustifico, sì le giustifico. Mi fermavo per vomitare e ripartivo. (La convinzione che lo stomaco avesse la sua parte mi ha condizionato un bel po’. Ah, i medici, morderei loro le mani! Potevano dirmi che a volte il rimedio era proprio mangiare! Uno di loro, lo scoprirete tra breve, mi illuminò in questo senso, ma non uno specialista. Poi le conferme in seguito quando ho cominciato a dialogare con Cefa ed Emy).  Insomma quando arrivai a destinazione, ero bianco come un lenzuolo e mi portarono all’ospedale.

Che ridere!!! Si fa per dire. Perché, pensavo, “capiscono così poco  gli specialisti, figurarsi i medici del Pronto Soccorso†. Dissi quello che era, non potevo parlare di Cefa e di Emy, mi limitai a dire che avevo un forte mal di testa che gli analgesici ormai  non mi lenivano.  Un giovane medico sbarbatello, chiaramente alle sue prime armi, mi fece un’iniezione di buscopan (importante! scoprii il buscopan ) e mi disse che dal momento che avevo vomitato ormai anche l’anima,  di mangiare qualcosa di leggero e digeribile, tipo fette biscottate. Oh! Un medico giovanetto di un ospedale assai lontano dalla capitale mi rimise in sesto! Ah se avessi saputo  che al termine del viaggio avrei incontrato quel giovane medico avrei percorso più speranzoso quei tre milioni di chilometri!

Ma quando, come e perché avvenne la loro trasformazione in giovani donne sulla trentina, stimolanti attraenti erotiche? Più di un lettore  stupisce. Mi stupirei anch’io se la mutazione da (non oso quasi pronunciarlo, tanto mi dispiace di offenderle) insopportabile mal di testa  a ragazze da peccato non fosse stato un processo lento, promosso da più fattori di cui avevo e ho piena consapevolezza.

Perché qualcuno non pensi che se ho potuto ricrearmele a modo mio e in modo siffatto significa che la loro compagnia non era poi così insostenibile, giuro che ero giunto sull’orlo della disperazione: come vi ho già detto le cure funzionavano per un po’, poi tutto tornava come prima; quanto agli analgesici ero diventato intollerante, sicché me lo cuccavo tutto interamente il mal di testa che durava anche giorni (solo da pochi anni ho ripreso ad assumere qualche farmaco dell’ultima generazione e con molta cautela perché non  accada come con gli altri); mi ero convinto di essere un handicappato…psichico ( aggiungevo per gioco quando ne parlavo, per via della localizzazione dell’handicap), sia pure saltuario e forse nemmeno tanto se ci mettete  che tra una visita e l’altra di Cefa ed Emy vivevo nell’incubo del loro ritorno improvviso. Sì sì credetemi: era proprio come da manuale. E ne ho studiati di manuali! Quanti altri giorni ho vissuto simili a quello sull’autostrada innevata. Ve li risparmio. A quanti incontri di lavoro ho dovuto rinunciare, o realizzare in condizioni pietose! 

Devo però raccontarvi di una fase che ritengo significativa e che richiamai alla memoria quando cominciai a inventarmi Cefa ed Emy per trattare con loro.

A occhio e croce, per gli eventi concomitanti che ricordo, verso i quarantacinque anni, per quasi un anno, e senza che io fossi in cura, accadde – non chiedetemi di spiegarlo, ho fatto ipotesi a non finire – che la comparsa delle fanciulle in questione divenne sporadica. Anche meno di un’apparizione al mese o dell’una o dell’altra. Sono consapevole che  quello che sto per confessare darà ai nervi a qualche lettore e altri diranno che li prendo in giro oppure che sono autolesionista. Anche a me sembrò una bestemmia quella mattina, del periodo cui mi sto riferendo, quando  avendo tempo di meditare a letto mi chiesi esplicitamente: ma com’è, dove è andato a finire ? (allora lo chiamavo ancora mal di testa o “le cose mie “ quando ero costretto a rifiutare a causa sua la compagnia di amici e amiche).  Sentii quella mattina che le notti insonni e doloranti avevano un senso, quasi la possibilità di entrare nel profondo della natura umana dolente e disperata. Vivere e confrontarsi col malessere, entrare proprio dentro nel tunnel della sofferenza fisica, per poi, quando il male si allentava, intravedere la luce, ed era un tornare alla vita, ogni volta una rinascita, la mente sgombra, libera, sana tornava a proiettarsi nel futuro. Questo era il senso del mio malanno: toccare il fondo e poi rivivere. Forse qualcuno mi capirà:  veramente mi accadeva spesso  di pensare che quello appena superato era l’ULTIMO MAL DI TESTA.

Comunque cacciai via quei pensieri quasi fossero bestemmie, ma qualche anno dopo mi sovvenne quella paradossale richiesta di sofferenza e contribuì al cambiamento insieme ai fattori che sto per descrivere.

Il primo riguarda la mia personalità (così getterete nel cestino l’ipotesi che io sia un autolesionista ).

Nel mentre che il Creatore mi plasmava, forse distratto da tutto il frastuono del creato e già credo pentito, era sul punto di completare un’opera d’arte, ma si accorse in tempo, e senza pensarci due volte mi dette una schicchera sul capo: anzi tre, una al centro sopra il naso e le altre alla tempia destra e alla tempia sinistra. Ma era talmente scocciato per essersi lasciato andare che mi contrasse di qualche centimetro, intanto andava dicendo: lo farò nascere nell’area del Mediterraneo, così sarà microcitemico; lo renderò sensibile ai pollini primaverili, così avrà il naso chiuso per un paio di mesi; lo renderò intollerante a certi cibi così non potrà mangiare come quando e cosa vuole  Eh ma non basta! Disse. Quest’uomo stava per essere il mio capolavoro, perciò devo dargli o non dargli qualcosa che per me va bene ma che laggiù sulla terra sia un grosso limite, insomma  un pregio che al contempo sia un difetto. Cosa può essere? Meditava, mentre io lo guardavo stupito, perché sentivo intorno tanto amore ma nello stesso tempo afferravo nell’aria  un senso di fastidio. Ho trovato! Esclamò il Creatore, soddisfatto: si distinguerà perché sarà zero il suo bisogno di potere. E si sa quanto è bene e quanto è male. Per il resto rimase il positivo che mi aveva dato, che è tanto: io gioco la vita, non nel senso di buttarla via, nel senso che la prendo sul serio come un gioco; sono ottimista; ho fiducia in me stesso  e al contempo sono consapevole e accetto i miei limiti, soprattutto quelli posti da LUI all’ultimo momento e quelli che mi derivano proprio da Cefa ed Emy; ho fiducia negli Altri, nel prossimo, nell’UOMO (a questo aspetto  LUI ci teneva tanto e me l’ha lasciato );  sono un creativo, no, no, non voglio dire  che produco oggetti d’arte, più semplicemente: che ho voglia di fare e di produrre; che creo e tento di risolvere problemi, come quelli per esempio procurati da Cefa e da Emy; che anche quando un qualcosa non mi piace e devo farla, trovo il modo per farmela piacere. Se permettete non è poco. Dunque il mio modo di affrontare la vita, ovvero la mia weltanschauung, visione del mondo e degli uomini, è il primo fattore che mi ha permesso di trasformare il mal di testa in due giovani donne.

C’è dell’altro. Verso i cinquant’anni ebbi un’intuizione, che a poco a poco divenne certezza. Avrei voluto verificarla, ma l’indagine scientifica sarebbe stata complessa e non alla portata di un solo studioso senza alcun tipo di risorsa. L’ipotesi era che Cefa ed Emy  non sceglievano come compagni determinati tipi di persone, cioè l’ipotesi della personalità cefalalgica di cui si era parlato negli anni Ottanta. Pensavo che invece poteva essere il contrario, ossia le loro visite e gli incubi tra una visita e l’altra trasformavano le persone che prendevano di mira. Sicché secondo me si doveva parlare di effetti sulla personalità. Ammesso pure che il soggetto fosse in partenza ansioso, tale ansia si accresceva e debordava in angoscia, se c’era malumore o ciclotimia, si trasformava in depressione, e poi l’irritabilità, l’intolleranza ed altri aspetti del carattere del cefalalgico si modificavano, quelli buoni si deterioravano, quelli negativi peggioravano. Mi convinsi e a questo punto mi ribellai.

Di recente l’ultimo specialista, dopo aver onestamente ammesso che io avevo  provato tutti i cocktail possibili (gettandomi nel panico, perché speravo che ci fosse qualcosa di nuovo ),  mi dette poco dopo una grande soddisfazione, come quella dei primi medici  che mi chiesero l’osservazione sistematica. Ragionando su ogni aspetto del mal di testa, mi confermò che non si parlava più di personalità cefalalgica ma di trasformazione della personalità a seguito delle crisi e dell’attesa delle crisi. Dunque questo secondo fattore fu altra molla potente di cambiamento.

Il terzo fattore fu la caduta della speranza. No, non dico nella ricerca che avrebbe trovato la soluzione, ma un altro tipo di illusione, che con l’anzianità a poco a poco, lasciato il lavoro, dandomi al giardinaggio, Cefa ed Emy mi avrebbero abbandonato. Letture, racconti di esperienze, conferme dei medici annullarono questa speranza. Avrei dunque sofferto sempre per la compagnia di Cefa ed Emy. Ero un handicappato e lo sarei stato per sempre.

E dunque devo trattare con loro, dissi con la lucidità di chi vede, si avvede e prevede.

Per trattare dovetti ovviamente interloquire con loro e per interloquire dovetti crearle, oggettivarle, e siccome ho un debole per tutto ciò che è femminile non creai un Signor MAL DI TESTA ma le giovani donne che conoscete.

Cominiciai col dire loro tutto ciò che di bello mi avevano dato ed elencai.

Mi avete messo nelle condizioni di scoprire il metodo dell’osservazione sistematica; di porre ipotesi che altri hanno confermato. Così non avendo realizzato io le ricerche non si può parlare di influenza dell’effetto da aspettativa. ( Mi riferisco alle conclusioni sulla trasformazione della personalità).

Mi ricordate spesso il dolore del mondo ma anche la gioia della nascita e della rinascita. Mi avete insegnato la rinuncia. A rinunciare non solo ai peperoni arrostiti e al vino rosso ma anche alle cene conviviali che tra amici in genere si svolgono di sera; a rinunciare al piacere del letto, a dormire lungo disteso come gli esseri umani, e scegliere invece una postura seduta per la quale assumo - me lo assicura mia moglie -  la sagoma di un pappagallo che dorme con la testa ciondoloni. O a dormire in piedi come i cavalli (come si crede). Questo è merito tuo, Cefa, precisai con tenerezza rivolto a lei, tu sei stata la prima. Grazie a voi insomma cresco continuamente. È un tendere alla saggezza. Un saggio isterico, ma sempre saggio.

E poi dissi: devo ringraziarvi e darvi qualcosa in cambio. Dovete sapere che io ho una grande esperienza sessuale. Non per vantarmi, infatti è relativamente facile trovare uomini navigati della mia età. Dunque io posso darvi le gioie del sesso. Quando la mattina, a vostro piacimento, mi sveglierete all’alba, mi alzerò, prenderò un caffè, farò la borsa d’acqua calda da mettere sullo stomaco, prenderò un plaid pesante o una copertina, a seconda delle stagioni, e mi siederò  sulla poltrona che voi stesse mi avete suggerito di acquistare, comoda senza sprofondare (che sarebbe letale), senza scivolare (che sarebbe peggio, se è mai possibile) come quando sono a letto. Modellerò le vostre tette, le natiche, i vostri volti. Sarete graziose, ciascuna con la sua personalità. Tu sei ombrosa Cefa e rimarrai tale finché i piaceri non ti faranno sorridere. Tu sei più svelta e sciolta e volubile, Emy, passi da una parte all’altra e così sarai a letto con i tuoi amanti. Tu sarai più rotondetta; tu più magra e slanciata. Beninteso, mia moglie saprà tutto. Anche perché io non parteciperò, il mio compito sarà solo quello di educarvi, di farvi fare esperienze, le più diverse, le più osé. E ogni volta vi porrò in situazioni nuove, e quando avrete sperimentato tutto ricominceremo daccapo. Come se foste vergini. Cefa ed Emy erano già eccitate, su di giri, ma giri diversi, erano loro che non sapevano dove andare, si sbagliavano di testa, scusate, ma devo dirlo perché veramente funzionò e funziona sin dalla prima volta.  Il mio coinvolgimento, come ho già detto, non è totale. Soltanto il lettore sprovveduto, nel senso che non conosce il mal di testa, avrà pensato che io mi masturbo e avrà smesso di leggere seccato da cotanto onanismo. D’altra parte a qualcuno sarò apparso esibizionista perché metto sulla pagina bianca i “sessi†miei. Invece se vi racconto tutto questo è per proporre un rimedio. Rimanendo nel campo delle distorsioni del comportamento sessuale forse sarebbe più esatto dire che faccio il guardone con Emy e Cefa mentre se la spassano con maschi di tutti i colori forme e dimensioni. Insegno loro le porcherie (così da alcuni definite) e certamente una mia appendice è all’erta, ma non vado oltre né potrei. Invento storie e situazioni per le mie ragazze per distrarle. E non solo funziona, loro arrivano al punto di essermi grate perché do loro la possibilità di conoscere i tortuosi meandri del sesso libero e sfrenato.

Certo qualche volta accade, almeno ogni dieci giorni che una delle due  sia refrattaria e si fermi puntigliosa determinata a svolgere i suoi compiti originari. Per il resto quasi ogni mattina mentre io mi preparo, loro si agghindano, si profumano, scelgono i vestiti più sexy e poi impazienti mi trascinano sulla poltrona, ansiose di affrontare nuove esperienze erotiche.   

Maurizio Mazzotta

 

Pubblicato su Confinia Cephalalgica -  anno XII n.3 dicembre 2003

                                                                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

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