I TEMI DEL TANGO di Gino Pastore

 - inserito 30.12.2004 - completato  01.10.2014

 

     L'amico Gino Pastore, un creativo le cui forme espressive ruotano attorno al designer è qui con noi, in questa pagina, come tanguero, un vero appassionato tanguero che approfondisce i temi del tango da decenni. Si reca sistematicamente in Argentina e ha appreso il tango osservando ed esercitandosi in estenuanti maratone nelle milongue.

La forza dell'autodidatta è la grande motivazione che lo anima, e la motivazione accresce le capacità di apprendimento.

Nel caso del tango poi va detto che Gino, non preoccupandosi eccessivamente di passi e figure, è più proteso nell'esprimere ciò che quel particolare tango gli suggerisce. E per questo è tra quei pochi, nelle milonghe, che cercano veramente di ballare interpretando.

Negli scritti che presentiamo Gino Pastore analizza i contenuti di alcuni tanghi sfatando luoghi comuni.

 


 

Il tango è maschilista? - Due facce contrapposte - Il tango è triste? - Il tango ballato - Il tango e i caffé - La passione per i cavalli e per il gioco - La madre - La grande migrazione - Anche nel tango i cattivi poeti

 

 

 Il tango è maschilista?

Un luogo comune sul tango è quello di considerarlo maschilista. In molti testi del tango cantato vien fuori, invece, l'immagine di un uomo perdente, vinto e umiliato dalla donna.

Riporto di seguito la traduzione di due esempi per tutti. Non dimentichiamo di inquadrare i testi nel loro periodo storico, cioè dei nostri bisnonni. Chiaro che si legge anche l'ironia. II tango è tutto e il contrario di tutto. Uno può leggerci il maschilismo o il femminismo indifferentemente. E' la rappresentazione in versi della vita con le sue sfumature e contraddizioni.

In un' intervista di pochi giorni fa, Adriana Varela, mito vivente del tango cantato, afferma che il tango non è maschilista, tuttalpiù lo è ancora la societa' in cui viviamo.….

Ladra

Enrique Santo Discepolo, 1928

Per esser stato buono,

mi hai mandato in miseria,
mi lasciasti nell'indigenza,
mi hai rubato anche il colorito.
In sei mesi
mi hai mangiato il mercatino,
la casetta delle ferie,
la gancera, il bancone...
Ladra!...
Mi hai rubato perfino l'amore...
Ora,
tanto mi spaventa una donna,
che se per strada una mi fissa
mi metto accanto a un vigile.

Cio' che mi da piu' rabbia,
e' l'essere stato tanto stupido!

Se un mese fa avessi saputo
cio' che ho saputo ieri,
non sarei stato sbeffeggiato
dai tuoi inganni di donna...
Oggi mi rendo conto che tua madre
"nobile vedova di un guerriero",
e' la ladra di grande fama
che ha schiacciato i trentatre!
E ho saputo che il guerriero
che mori' pieno d'onore,
non mori' ne fu guerriero
come mi abindolasti tu.
E' canuto e registrato
come agente di camorra,
professore capobastone,
malandrino e truffatore!

Insieme
mi avete pelato a zero,
la tua figura fu l'amo
dove andai ad abboccare.
Avete inghiottito
tu, la vedova e il guerriero
cio' che mi costo' dieci anni
di pazienza e lavoro...

Ladri!
tu, la tua vecchia e tuo padre,
Guarda!
Attenti che se cambia la partita
e ho il coltello dal manico,
non vi do il tempo di scappare.

Cio' che mi da piu' rabbia,
e' l'essere stato tanto stupido!

 

Quel cappotto di ermellino
Manuel Romero, 1929

Quel cappotto di ermellino
tutto foderato in lamé,
che copriva il tuo corpicino
all'uscita del cabaret.
Quando mi passasti accanto,
abbraccetto a quel gigoló,
quel cappotto di ermellino
quanta pena mi causo'!

Ti ricordi? era il momento
culminante dell'amore;
io stavo senza soldi,
tu desideravi l'ermellino.
Quante volte tremando,
insieme, davanti alla vetrata,
mi dicevi sospirando:
Ai, amore, se tu potessi!
E io con mille sacrifici
alla fine te lo potetti comprare,
mi indebitai con amici e usurai
e stetti un mese senza fumare.

Quel cappotto di ermellino
tutto foderato in lamé,
che copriva il tuo corpicino
all'uscita del cabaret.
Risulto', in fin dei conti,
piu' duraturo del tuo amore:
il cappotto lo sto pagando
e il tuo amore gia' e' finito.

 

 

Due facce contrapposte

Due facce contrapposte ed estreme dell'uomo nel tango e nel rapporto con la donna.
Una romantica, tenera, sopraffatta dagli eventi della vita di coppia. L'altra fredda, cinica, crudele, dove l'uomo è il dio supremo castigatore.
La produzione dei testi come della musica, e' illimitata. Si racconta quindi la vita nelle sue svariate sfaccettature, difficile da definire uno stereotipo di pensiero "tango".
Spesso ci viene in mente il carattere napoletano.
Questi due testi ci rimandano alla canzone napoletana con le sue espressioni tragi-comiche.

 

Sentimento gaucho
Juan Andrés Caruso,1924

In un vecchio spaccio del corso Colon
dove va chi ha perso la fede,
tutto sporco, straccione, un pomeriggio incontrai
un ubbriaco seduto in un angolo oscuro.
Nel vederlo sentii una profonda emozione
perchè nella sua anima un dolore segreto indovinai
e, sedendomi accanto, al suo lato, gli parlai,
e lui, allora, mi fece questa crudele confessione.
Fai attenzione, amico.

Sai che è condizione dell'uomo soffrire...
La donna che amavo con tutto il cuore
se n'è andata con un uomo che l'ha saputa sedurre
e, malgrado andandosene ha portato con se la mia
allegria,
non vorrei vederla più... Che nella vita sia felice
con l'uomo che la tiene per il suo bene... o che so io.
Perchè tutto quell'amore che per lei sentivo
lo taglió con un sol colpo con la lama del tradimento.

Peró inutile... Non posso, malgrado voglia,
dimenticare
il ricordo di quella che fu il mio unico amore.

Lei per me è come l'odore del trifoglio
che profuma a chi la vita le va a strapparsi.
E, se per caso un giorno volesse tornare
di nuovo con me, io la perdoneró.
Se per gelosia si puó ammazzare un uomo
si perdona, quando parla molto forte l'amore,
qualsiasi donna.

 

Amabilmente
Ivan Diez

La trovò nella garçonniere e fra altre braccia...
Comunque, con classe e senza arrabbiarsi,
disse all'amante: "Puoi andartene,
l'uomo non è colpevole in questi casi"

E nel trovarsi solo con la ragazza,
chiese le pantofole e già fatto,
le disse come se non avesse visto niente:
"Servimi un paio di mate, Caterina."

La ragazza, impaurita, gli dette retta
e l'uomo, assaporandosi un buon sigaro,
l'assecondó chiacchierando di sciocchezze...

E quindi, sbaciucchiandole la fronte,
con gran tranquillità, amabilmente,
le sferró trentaquattro pugnalate.

 

Il tango è triste?

Un altro luogo comune considera il tango "triste". In realtà, data l'immensa produzione sia di testi che di musica, il tango rappresenta tutti gli stati d'animo dell'uomo nel contesto storico in cui vive, con i suoi sentimenti, emozioni, gioie, drammi. Nel tango "Siga el corso" si rappresenta con gioiosità una sfilata di carnevale. Il Carnevale è stato un momento importante per lo sviluppo di questa musica e ballo. C'erano centinaia di orchestre dal vivo a Buenos Aires che animavano le serate danzanti nelle diverse accademie, saloni, caffè nella prima metà del Novecento.
Nel secondo tema "Un bailo a beneficio", si rappresenta una serata di ballo in un ambiente di borgata, descrivendo i vari personaggi con i loro soprannomi. Si ha la sensazione di vedere uno di quei tipici film comici, muti e in bianco e nero dell'inizio del Novecento. Spesso balliamo senza conoscere il testo del brano e ci affidiamo solo alla musica. Generalmente i cantanti sono dei baritoni, come anche gli strumenti utilizzati per il tango si basano su note piu' basse rispetto al "tenore". Questo forse ha generato l'equivoco. I toni piu' bassi nella lirica vengono utilizzati per rappresentare storie serie, tristi. É il ruolo del padre, dell'amante terzo incomodo, mai dell'attor giovane.
Piú che di "tango triste", sarebbe piú logico parlare di tango come rappresetazione delle due facce della medaglia della vita; allegra e triste, felice e disperata, comica e drammatica.

Lungo il defilè
(Siga el corso)
Francisco Garcia Jmenez,1926


Questa Colombina
ha messo sulle sue occhiaie
il nerofumo del fuoco
del suo cuore...
Quella marchesa
dalla risata pazza
si è dipinta la bocca
per baciare un claun.
Incrocia dal palco fino al carro
la stella filante
nervosa e sottile,
come una pittoresca spilla
sulla notte
del Carnevale.

Dimmi chi sei,
dimmi dove vai,
allegra mascherina
che mi gridi nel passare:
"Che fai?" "Mi riconosci?"
Ciao... Ciao... Ciao...
Io sono la misteriosa
donnina che cerchi!"

Togliti la maschera!
Ti voglio conoscere!
I tuoi occhi, per il defilè,
vanno cercando la mia ansietà.
Le tue risate mi fanno male!
Mostrati come sei.
Dietro i tuoi disvii
tutto l'anno è Carnevale!

Con sonora burla
tuona la cornetta
di una provocatoria
dama in trasparente.
E fra gridi e risate,
bella mascherata
giura che l'ammazza
la passione per me.
Sotto i folli cartelli
passano i fedeli
del dio giocondo
e va attaccando al mondo
i suoi sonagli il Carnevale.

 

Un ballo per beneficienza
(Un baile a beneficio)
José Fernández

Con il lungo Pantaleone,
Peppino e Giovanni il pazzo,
l'ubbriaco Santillan,
Tito e Ramon lo zoppo,
uscimmo con l'intenzione
di andare a un ballo ordinario
a beneficio di un reo
che stava carcerato
in Devoto e accusato
per storie di furto.

Al buffet per le bevande
stavo con Tito e Santillan,
che giá stava mezzo muto
per la sbornia che aveva;
ma lí incontrai una ragazza
succhiando che era un piacere.
Stava il chitarrista Augusto,
Gatillo, Potranca lo sfregiato
e Zorro, con una sbornia
che a vederlo dava noia.

E nell'ambiente delle ragazze
stavano quelle di Mendieta
con la magra Pañoleta,
la Paja Brava e la Cinese,
Pichota, la Rondinella,
la ladruncola Encarnación,
la Strabica del Cortile,
l'Amante di Pugnalata,
Sarita della Sfregiata,
e la Bigia del Viottolo.

Anche la lunga Sofia
donna Lola e la Romana,
la Birbante e la Padrona,
e la piccola Maria,
la baffuta Lucia
la Ciarlatana, la Zulema.
C'era tutta la crema
con i suoi abiti domenicali
e mi sembró che intera
fosse arrivata la discarica.

Nel ballo, in continuazione,
era audace la comitiva,
e, fra figure e sospensioni,
una bruna tracagnotta
ballando con un principiante
dette al Pazzo una pestata
precisamente sull'alluce:
se Santillan non si intromette
il Pazzo le avrebbe dato un pugno.

Ma un piccolo sfacciato
dette al Pazzo una scoppola;
che lo fece cadere con fracasso
facendogli sbattere il muso.
Intervenne Pañoleta
per regolare la questione,
il piccoletto per un angolo
se la voleva svignare,
ma lo suonó
con un pugno Pantaleone.

Dopo si inalbetó la disputa:
pugni, calci, banconate...
Santillan sparó un colpo
da una pistola che aveva.
Tutta la gente correva,
restó la casa deserta;
per terminare la serata
io mi portai un bandoneon,
un Perramus, Pantaleone
e il Pazzo con il muso gonfio.

 

 Il tango ballato.

Molto è stato scritto sul ballo e sui suoi vari aspetti, di festa, allegria, amicizia... Mi piace riportare questi due testi. Il primo del 1942 che è quasi una mini guida di come bisogna ballare il tango. Consideriamo sempre la sua data e di come da allora il modo di ballare sostanzialmente non sia cambiato, in particolare nello stile milonguero. Il secondo testo risale al 1927 e già allora c'erano personaggi che facevano del ballo un momento di esibizione, alla ricerca dell'applauso, del fare da maestri, senza cercare l'intimità e l'interpretazione. Ancora oggi vediamo gente, a volte maestri, che ballano considerando la musica un optional. Ecco quindi che sono capaci di ballare la Marsigliese e, come commentava argutamente Gianni Giberti, sono capaci di ballare anche il telegiornale...    

Come si balla il tango
Martinez Villa, 1942

Che sanno i pitocchi, leccati e attillati,
che sanno cosa e' il tango, che sanno di ritmo.
Qui sta l'eleganza, che figura, che silouet,
che portamento, che arroganza, che classe per ballare!
Cosi' si rade il prato mentre eseguo l'otto,
per queste filigrane sono come un pittore.
Adesso una corsetta, un giro, una seduta,
cosi' si balla il tango, un fiore di tango!

Cosi' si balla il tango,sentendo nel viso
il sangue che sale a ogni battuta,
mentre il braccio come un serpente
si attorciglia alla vita che sembra spezzarsi.
Cosi' si balla il tango, mescolando l'alito,
chiudendo gli occhi per ascoltare meglio
come i violini raccontano al bandoneon
perché da quella notte Malena non canto'.

Sara' donna o giunco quando fa una figura,
tendera' una molla o una corda per muovere i piedi?
Certo è che il mio bene,
che il mio "peggiore è niente"
ballando ha una sensualità che mi fa impazzire.
A volte mi domando se non sarà la mia ombra
che sempre mi segue, o un essere senza volontà.
Però è che sono nato cosi', per la milonga,
e lei come me muore, muore per ballare.

 

Baldoria (Garufa)
Victor Soliño e Roberto Fontaina, 1927

Della borgata La Mondiola sei il più dritto
e ti chiamano Baldoria per l'eleganza;
hai più pretese di un corista di rivista
che ha avuto successo con un tango.
Durante la settimana, lavori,
e il sabato sera sei un dottore:
ti infili le ghette e il colletto inamidato
e vieni al centro da conquistatore.

Baldoria, caspita come sei divertente!
Baldoria, sei già un caso perduto;
tua madre dice che sei un bandito!
perché ha saputo che ti hanno visto
l'altra notte nel Parco Giapponese.

Capiti nella milonga quando inizia
e sei per le donne il domatore;
sei capace di ballare la Marsigliese
la Marcia a Garibaldi e il Trovatore.
Con un caffè col latte e un assaggino
concludi questa notte di baccanali
e tornando a casa, all'alba
dici: "Sono un dritto fenomenale".

 

Il tango e i caffé

Ritrovarsi nei caffé è un costume tuttora in uso nelle città del Rio de La Plata.
E' un'abitudine che gli emigrati, mediterranei in particolare, si portarono appresso insieme a tutto il loro bagaglio culturale. Quest'abitudine ormai da noi è andata persa. I vecchi caffé sono stati trasformati in bar, imitando le usanze nordeuropee, sfruttando gli spazi dei locali per una maggiore resa economica... A Buenos Aires i caffé, sia quelli modesti che quelli eleganti, hanno degli spazi enormi con tanti tavoli. La gente si incontra per chiacchierare, socializzare, oppure c'è chi da solo si dedica alla lettura, chi a scrivere... consumando poche cose, magari un solo caffè e passandoci diverse ore.
Nelle biografie di diversi personaggi famosi del tango, come Gardel, Canaro, Discepolo, El Cachafaz... si racconta che avevano l'abitudine di frequentare il loro caffé preferito, sempre alla stessa ora e al solito posto. Lí ricevevano amici o personaggi vari, dove discutevano di tango, cultura...
Molto hanno scritto su questi locali e abitudini. Riporto un testo del poeta Discepolo, e uno di Castaña, musicista e poeta contemporaneo.

 

Cafetín de Buenos Aires
Enrique Santos Discepolo, 1948

Da bambino ti guardavo da fuori
come quelle cose irraggiungibili...
La narice contro il vetro, in un freddo azzuro
che fu solo dopo vivendo uguale al mio...
Come una scuola di tutte le cose,
giá da ragazzo mi hai dato fra stupori
la sigaretta, la fede nei miei sogni
e una speranza di amore.

Come dimenticarti in questo lamento,
piccolo caffè di Buenos Aires,
se sei l'unico nella vita che assomiglió a mia madre...
Nella tua mescola miracolosa
di saccenti e suicidi,
appresi la filosofia... dadi... bisca...
e la poesia crudele di non pensare piú a me.

Mi hai dato in oro un pugno di amici,
che sono gli stessi che danno fiato alle mie ore:
(José, della chimera...
Marcial, che ancora crede e spera...
e il magro Abel che se n'è andato ma ancora mi guida...).
Sui tuoi tavoli che nessuno domanda
piansi un pomeriggio il primo inganno,
nacqui alle pene, bevvi i miei anni
e mi arresi senza lottare.

Caffé L'Umidità (La Humedad)
Cacho Castaña

Umidità...pioviggina e freddo...
Il mio alito appanna il vetro azzurro del vecchio bar.
Non mi domandate se è da molto che l'aspetto:
un caffè che è già freddo, dopo tanti posacenere.
Malgrado so che mai arriverà
sempre quando piove vado correndo fino al caffè
e solo racconto con la compagnia di un gatto
che strapazza con piacere i lacci delle mie scarpe

Caffè L'Umidità, bigliardo e festino...
Sabato con debiti... Che bello spettacolo!
Ho solo bisogno di ringraziarti
per l'insegnamento delle tue notti
che mi allontanano dalla morte.

Caffè L'Umidità, bigliardo e festino...
Sabato con debiti... Che bello spettacolo!
Semplicemente ti ringrazio per le poesie
che la scuola delle tue notti
insegnarono ai miei giorni.

Solitudine di celibato... Sono trenta
anni già stanchi di sognare.
Per questo torno fino all'angolo del caffè
a cercare la comitiva eterna di Gaona e Boyacá.
Già sono pochi quelli che restano!
Andiamo, ragazzi, a ricordare questa notte
una per una le imprese di altri tempi
e il ricordo del caffè che chiamiamo L'Umidità.

 

La passione per i cavalli e per il gioco

La passione per le corse dei cavalli e il gioco d'azzardo in genere vengono spesso raccontati nei testi di tango. Nel quartiere Palermo di Buenos Aires c'e' l'Ippodromo Nazionale, meta di chi è attaccato al gioco. Spesso sono gli stessi personaggi che frequentano le milonghe notturne e amano vivere la "boemia" della cittá. Forse oggi il fenomeno è meno sentito ma nel periodo storico dei due tanghi riportati, quando l'Argentina era "ricca", il tenore di vita era abbastanza alto. Nel primo testo, Alfredo Le Pera, associa in forma poetica e autoironica le delusioni di un cavallo a quelle di una danna. Il primo lo fa perdere per una incollatura, appena una testa fra un cavallo e l'altro, l'altra con la sua testa dice di amare sapendo di mentire... Nel secondo testo l'autore maledice Palermo perché lo lascia in povertà... Spesso nel tango si avverte questo autocompatirsi, nell'essere vinti dalle proprie debolezze e passioni, tutto in uno spirito autoironico...

Per una incollatura-testa
(Por una cabeza)
Alfredo Le Pera, 1935

Per una incollatura di un nobile puledro
che proprio sul traguardo rallenta l'andatura,
e che nell'attardarsi sembra dire:
Non dimenticare, fratello, tu sai che non devi giocare.
Per una testa, passione di un giorno
di quella civetta e burlona donna,
che nel giurare sorridendo l'amore che sta mentendo,
brucia in un rogo tutto il mio amore.

Per una testa, tutte le follie.
La sua bocca che bacia cancella la tristezza,
calma l'amarezza.
Per una testa, se lei mi dimentica
che importa perdermi mille volte la vita,
perché vivere.

Quante delusioni, per un'incollatura.
Ho giocato mille volte, non torno ad insistere.
Però se uno sguardo mi ferisce nel passare,
le sue labbra di fuoco un'altra volta voglio baciare.
Basta con le corse sono finite le scommesse.
Un finale combattuto già non torno a vedere!
Ma se qualche cavallo risulta favorito domenica,
io mi gioco intero.
Che ci posso fare!

 

Palermo
Villalba e Braga , 1929

Sia maledetto, Palermo!
Mi tieni secco e infermo, mal vestito e senza mangiare,
perché il denaro le domeniche lo sperpero con i cavalli
nell'Ippodromo Nazionale.
Per cercare quello che non perde
mi divoro la rivista Verde e mi studio il pedigré
e malgrado il compendio butto dalla finestra
tutto il lavoro del mese.

Capricci che tengo con i cavalli,
passioni di tutte le domeniche...
Per colpa tua mi trovo ben rovinato...
Che posso fare, cosí deve essere!
Le illusioni del vecchio e della vecchia
restano disilluse nella sabbia
per gli zoccoli di un ronzino che arranca...
Che ci posso fare se sono giocatore!

Palermo, culla del reo, per colpa tua vado senza soldi,
senza onore né dignità;
sono mendico e svergognato, la passo sempre in miseria
per la tua razza equina.
Mi travolge più la tribuna, mi attira più una corsa
che una donna formosa.
Come una bocca dipinta mi plagia la targa d'arrivo
come se fossi chi la mantiene.

 

La madre

La percentuale molto alta di emigrati italiani in Argentina e comunque nei paesi del Rio de la Plata ha determinato il forte attaccamento nella loro cultura alla figura materna. In questi due tanghi si riconosce lo spirito "napoletano" del rapporto con la madre. La mamma come rifugio sicuro, l'amore che non ti tradisce mai e che nessuno puo' portarti via.
Il primo testo di Celedonio Flores è senzaltro molto poetico, più evidente nella lingua originale e con i vari termini in lunfardo a volte difficili da tradurre.
Nel secondo si va alla ricerca forzata di strappare lacrime, del resto tipica moda culturale del periodo storico... Il vezzo affettuoso di chiamare vecchio o vecchia i propri genitori è tuttora in uso a Buenos Aires.

Ho paura
Celodonio Flores, 1928

Nella bisca della vita mi fermai col sette e mezzo,
essendo l'unica fermata della vita che indovinai.
Già stavo sulla china della rovina, senza rimedio,
ma un giorno dissi fermati e quel giorno mi fermai.

Lasciai la comitiva rea dell'eterna carovana,
mi appartai dalla milonga e dal suo vagabondo
capriccio;
con il triste delle mie notti feci una bella
mattinata:
cimitero della mia vita convertito in giardino.

Garsonier, corse, bische, bevute da vizioso
e amori passeggeri... Baci falsi di donna...
Tutto sepolto nell'oblio del passato chiassoso
per l'amore più santo che un uomo può avere.

Oggi, già vedi, sto tranquillo...
Per questo è che, bonariamente,
ti supplico di non venire a turbare la mia dolce pace;
fa che resti con mia madre, che al suo fianco,
santamente, edificheró un'altra vita,
giacchè mi sento capace.

Ti supplico di lasciarmi, ho paura di incontrarti,
perché c'è altro nella mia esistenza che non ti puó
dimenticare...
Ho paura dei tuoi occhi, ho paura di baciarti,
ho paura di amarti e tornare a ricominciare.

Sii buona... Non cercarmi... Scostati dal mio
cammino...
A volte in un altro amore incontrerai la tua
redenzione...
Tu sai che non voglio che il mio discorso ti
offenda...
É che ho molta paura che mi ceda il cuore!

 

Consiglio d'oro
Arquímedes Arci, 1933

Ero un ragazzino quando morí il mio vecchio;
fu tanta la miseria, che la mia vecchia e io
mangiavamo piangendo il pane amaro e duro
che nelle ore di miseria la mia mano mendicó.
La mia povera vecchietta lavando roba altrui
spezzava la sua schiena ai piedi del lavatoio,
per poche monete che calmavano appena
la crudele amarezza della nostra situazione.

Crebbi con negligenza e nei miei anni giovanili
mi avviai per il cammino che mi sembrò migliore...
Mi accompagnai a ballerine, mi ingozzai di bevute,
e il migliore dei miei amici mi ha venduto quando ha
potuto.
Tutto pieno di me feci il guappo; mi chiusero fra le
grate
e da carcerato nemmeno un amico è venuto a visitarmi,
solo il volto smagrito e adorato della mia vecchia
si appoggiò alle grate per potermi baciare.

Per questo, compagni, per le tante delusioni,
non mi convince nessuno con frasi di amicizia;
oggi vivo con mia madre, voglio addolcire i suoi anni
e voglio rendere felice la sua nobile anzianità.
Mi sento cosí allegro vicino alla mia mammina
è il meglio amore che ho nel cuore.
Questo sì che è un amore che nessuno mi toglie,
amore che non inganna ne sa di tradimento.

A te, amico, che sei tanto giovane, ti dò un consiglio
d'oro:
lascia le baldorie e le milonghe... che mai ti peserà,
cura molto la tua vecchietta, perché la madre è un
tesoro;
un tesoro che se lo perdi altro uguale non troverai.
E non fare come quelli che si consumano nei piaceri
e si dimenticano della madre e non s'importano del suo
dolore;
che l'ammazzano di dispiaceri e appena muore,
si pentono e la piangono e comprendono il suo valore.

 

La grande migrazione

La grande migrazione italiana verso l'Argentina risale all'inizio del secolo appena passato. La gente abbandonò i propri paesi e spesso la miseria, con promesse che oggi possiamo dire addirittura ingannevoli. Le terre e le ricchezze erano già divise da generazioni, e in mano a un pugno di gente, discendenti dai conquistatori e di origine ispanica, inglese, americana... Quindi quella italiana era principalmente una migrazione di manodopera, trattata con razzismo e con appellativi offensivi, legati alla condizione di "straccioni". In questi due tanghi si racconta di un emigrante del sud e di uno del nord. Entrambi la dicono lunga sulla loro situazione e in particolare si avverte quanto la musica italiana abbia contribuito in modo predominante a far nascere ed evolvere il tango in tutte le sue forme espressive, musica, poesia, ballo...

Canzonetta
Enrique Lary

La Boca... Viottolo... Giro di Ladra...
Osteria... Gennaro e il suo accordion...

Canzonetta, grigia di assenza,
crudele invasione di vecchie pene
nascoste nelle ombre della bettola.
Dolore di vita... Oh mamma mia!
Ho i capelli bianchi,e io sempre su questo tavolo
aggrappato alla tristezza dell'alcool.

Quando ascolto "Oh sole mio" "Senza mamma e senza amore",
sento un freddo qua nel cuore, che mi riempie di ansia...
Sarà l'anima della mia mamma,
che lasciai quando ero bambino,
Piangi, piangi, Oh sole mio. Anch'io voglio piangere!

La Boca... Viottolo... Giro di Ladra...
Giá se ne vanno Gennaro e il suo accordion...

Del mio vestito, che mi importa
se mi macchio con i bicchieri
che sperpero nel mio frenetico tremore!
Ho sognato Taranto in mille ritorni,
ma continuo qui, ne La Boca,
dove piango le mie angosce
con l'anima triste, rotta, senza perdono.

 

La violetta
Nicolas Olivari, 1930

Con il gomito sul tavolo lercio
e lo sguardo inchiodato al suolo,
pensa l'italiano Domingo Polenta
il dramma della sua migrazione.
E nella sporca cantina che canta
la nostalgia del vecchio paese
stona la sua rauca gola
già conciata da vino scadente.

"E La Violetta la va, la va, la va;
la va sul campo che lei si sognava
chi era il suo yinyín che guardandola stava..."

Anche lui cerca il suo sognato bene
già da quel giorno, tanto lontano,
che con la sua carica di illusione sparì
come la Violetta che la va, la va...

Canzonetta del lontano paese natio
che abbellisce la sporca taverna
e che brilla negli occhi dell'italiano
con la perla di qualche lacrimone...
La apprese quando venne con altri
chiuso nella pancia di una nave,
ed è con quella, facendo chiasso,
che consola la sua disillusione.

 

 



 

 

Anche nel tango ci sono i cattivi poeti

 

La "letra" tango, cioè la poesia, è immensa. Migliaia e migliaia di testi che toccano tutte le corde del

sentimento umano. Ma non tutta l'opera è da considerarsi poetica. Spesso gli autori vanno alla ricerca delle lacrime a tutti i costi scivolando sovente sul grottesco.

Delitti passionali, per esempio, ci sono sempre stati ma vi pare plausibile che uno se ne vada a spasso con la treccia della donna e il cuore dell'amante nello zaino e va a costituirsi? Posso anche capire la perversione sadica, ma uno non va a costituirsi e soprattutto uno scrittore non ci fa una poesia. Come questa che segue:



 

A la luz del candil

.................................

Las pruebas de la infamia

las traigo en la maleta:

¡las trenzas de mi china

y el corazón de él!

.................................

¡Arrésteme, sargento,

y póngame cadenas!...

¡Si soy un delincuente,

que me perdone Dios!

 

 

=======

 

Un altro tema ricorrente è quello della madre, del figlio ammalato, della pazzia o l'infermità, fino alla morte. Spesso il colpevole è l'uomo cattivo.

Con estrema facilità si fa leva sui sentimnti piú popolari. Si concentrano su un'unica

persona tutte le disgrazie possibili, al di fuori di ogni piú semplice calcolo probabilistico.

 

Canción de cuna

 

En el sendero del triste hospicio

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Tu padre fue malo y te abandonó,

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Y el drama intenso de aquella madre

que por su hijito loca quedó

 

 

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Di nuovo la mamma, la culla, il canto... Cinque fratelli che vanno alla guerra sul suolo francese e tornano cinque medaglie alla vecchia madre... Vi sembra probabile? E' stato piú clemente Steven Spielberg in quel polpettone di film "Salvate il soldato Ryan". Almeno in quel caso erano quattro fratelli e uno viene salvato in modo rocambolesco.

Se sono esagerazioni, bisogna anche dire che a volte erano in linea col periodo storico e con gli stili letterari del tempo.

 

 

Silencio

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Meciendo una cuna,

una madre canta

 

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Eran cinco hermanos.

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Un clarín se oye.

Peligra la Patria.

Y al grito de guerra

los hombres se matan

 

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Y la viejecita

de canas muy blancas

se quedó muy sola,

con cinco medallas

...............................

 

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Molti testi di tango sono passati alla storia non tanto per la loro bellezza quanto per gli interpreti. Anzi diciamola tutta, per l'interprete, el Mudo, el Troesma, el Zorzal... perdonatemi questi luoghi comuni, sto parlando di Carlos Gardel.

 

01.10.2014 

 

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