Il pomeriggio di un fauno

 

 

IL POMERIGGIO DI UN FAUNO

 

tratto da Rondini e Gabbiani di Carlo MAZZEI

 

Personaggi:

 

Un fauno, ancora pimpante ma sfortunato;

una ninfa, che è (quasi) sempre in fuga;

due cacciatori (veri, quelli di oggi, con tanto di fucile e cani);

la dea Diana, ancora nel pieno dei vigore;

un uomo che guida un trattore, che però non trova il modo di inserirsi nel dialogo;

una squadra di centauri moderni;

due giovani (di oggi) innamorati;

il dio Pan in persona;

un ragazzino poco rispettoso.

 

Scena

 

Un bosco. Una radura. Un fiumiciattolo che scorre. Bosco, radura e fiumiciattolo come possono essere oggi. Come facciano a trovarcisi il fauno e la ninfa e gli altri loro pari, che - per necessità ­ devono essere i personaggi di questa favola, può immaginarlo solo un lettore che non abbia perso il senso dell'umorismo e conservi un po' di nostalgia per come quei luoghi dovevano essere una volta e chissà se ritorneranno mai.

Gli alberi del bosco non sembrano, in apparenza, molto sofferenti. Un po' rachitici, sì, i rami contorti e le foglie rinsecchite in parte. Ma, a vederli così, da lontano e tutti insieme - in fondo fanno ancora un bosco. La radura, invece, porta qualche segno in più del tempo, della civiltà, del progresso che è arrivato fin lì con le sue scorie. Sparsi qua e là, tra gli alberi e la sponda del fiume, mescolati ai rami e ai cespugli di rovi, numerosi oggetti che non varrebbe neanche la pena nominare se non fossero (anche loro, sì, dopo tutto, incolpevoli) necessari al racconto, sia pure spettatori muti. Se ne dà, qui, un semplice elenco, perché non sarebbe giusto spendere molte parole per loro:

- in tutto una decina di barattoli di latta, quelli delle bibite, accartocciati e non, colorati e sbiaditi;

- buste di plastica, in numero indeterminato: bianche per lo più, strappate e intere, impigliate tra i rami o semimmerse nell'acqua;

- due carcasse metalliche arrugginite: una forse è stata un frigorifero, l'altra una lavatrice. La seconda è immersa quasi completamente nell'acqua. L'altra, nascosta in parte dai cespugli, è invece in piedi come un trofeo;

- due materassi a molle, strappati da ogni parte e cenciosi;

- qualche bottiglia di vetro (rotta o non) e molte altre di plastica;

- il telaio di una vecchia bicicletta;

- un carrozzino per bambini, con una ruota sola;

- un lavandino di ceramica bianca, rotto nella conca e privo del piede (ci si aspetterebbe un water a questo punto, ma, per quanto l'abbia cercato, l'autore di questa favola - se è ancora possibile definirla così - non l'ha trovato);

- calcinacci vari, resti di mattonelle da rivestimento e di intonaco, che fanno mostra di sé in mezzo al prato polveroso.

Che altro? In verità, a voler guardare più attentamente, magari tra i cespugli, si potrebbe continuare l'elenco all'infinito. Ma non vale proprio la pena.

In mezzo a tutto questo scorre il fiume o quel che ne resta. Questo termine richiama alla memoria immagini ben diverse, però. L'acqua apparentemente è sempre la stessa. Ha questo, di bello, l'acqua: che quando vi immergi la mano e tiri su, la senti scorrere sempre allo stesso modo. E anche a guardare in trasparenza le gocce che cadono, sembrano le stesse gocce di sempre. Ma si sa che non è così, purtroppo. E, considerando la situazione - diciamo - letteraria, non sembra opportuno aggiungere all'elenco di sopra un altro elenco, nel quale siano indicati tutti gli elementi che non dovrebbero esserci e quelli invece che dovrebbero e non ci sono più.

 

Ecco. Ora bisognerebbe trovare la faccia tosta di introdurre, per ora, in un ambiente siffatto nientemeno che un fauno e una ninfa. E non è poco. E se la cosa può anche riuscire col fauno, creatura che non sempre richiama immagini di purezza e innocenza, l'operazione diventa difficile e ingiusta nel caso della ninfa, di una ninfa dei boschi, una creatura delicata ed eterea, fatta di grazia e di poesia.

Tant'è. Tanto vale togliersi il pensiero. Prima il fauno, però.

 

Entra in scena il fauno: uomo dal busto in su, irsuti il petto e le spalle, la barbetta e i capelli fulvi e riccioluti dai quali fuoriescono due orecchie caprine. E di capra è anche il resto: le zampe, che terminano con zoccoli ungulati, e la coda, corta e arricciata. Esce dal bosco. Fa qualche passo verso il ruscello guardandosi intorno.

«In nome degli dei, che casino!»

Gli si perdonerà il suo modo di esprimersi e di unire il sacro al profano: i fauni non sono noti per essere degli stinchi di santo e all'autore, sia pure con qualche rammarico, non resta che registrare le cose così come le dice. Né d'altra parte poteva usare un termine come «immondezzaio», visto che il concetto stesso di immondezzaio è una prerogativa della civiltà moderna e non certo di quella delle antiche creature dei boschi

Il Fauno si guarda sempre intorno, sul viso, già di per sé originale, un’espressione di disgusto: «E com'è possibile che sia ridotto così questo posto?»

Si china. Prende con due dita un barattolo di coca-cola, se lo porta davanti agli occhi, lo esamina attentamente, perplesso.

«Che strane cose!»

Getta il barattolo, che cade tra i sassi con un rumore sgradevole. Esitante, avanza verso il ruscello. Prende un po' d'acqua nel cavo della mano e la sorseggia. Poi sputa tutto, con una smorfia.

«Giove pluvio! Che hai mai combinato?»

Rimane così, con i pugni sui fianchi, le zampe nell'acqua e un'espressione ebete sul viso.

«In che razza di mondo sono capitato? E che diamine mi è successo?»

Già. Perché neanche lui sa bene che cos'è successo. O meglio: ricorda confusamente qualcosa, ma ha ancora la mente ottenebrata e la testa gli duole da una parte.

Si porta una mano alla testa: «Che botta, ragazzi!»

Non è curioso che anche i fauni - tra loro - si chiamino così?

«Ma chi...? Incomincia pian piano a ricordare. «Ah, già! Quella figlia di...»

Bèh, non è necessario riferire proprio tutto. Tanto più che in una volta sola il fauno ha offeso due dee: Latona, chiamata in causa come madre dai costumi non del tutto irreprensibili, e sua figlia Diana, la responsabile diretta del bernoccolo del nostro fauno.

Le cose erano andate così. Lui, al solito, aveva adocchiato una ninfetta (nel senso proprio: cioè giovane e graziosa ninfa) e le faceva la corte. E si sa che il corteggiamento di un fauno ha le sue regole. Lei, che in un primo momento era parsa lusingata dalle sue attenzioni, quando si erano trovati al dunque, era scappata via come un fulmine. E lui dietro per tutto il bosco. Lei urlando (come una gallina scannata, diceva il suo inseguitore) e lui, sempre più assatanato, sudando come una bestia (già, proprio così). Finché la ninfa, poverina, quando stava per essere raggiunta, non aveva trovato di meglio che rivolgersi a Diana, la sua protettrice, pregandola di liberarla da quell'importuno spasimante. E la dea, chiamata in causa per l’ennesima volta, le aveva dato retta, pur un po’ scocciata per dover sempre lei salvare i cavoli dalla capra. E l'aveva trasformata in un capriolo.

Apriti cielo! Il fauno, che stava per ghermire il bocconcino, trovandosi tra le grinfie un quadrupede, era diventato una belva e se l'era presa con la dea, ricoprendola di improperi ed espressioni blasfeme, da par suo. Diana - si sa - non è certo un agnellino. Per un po' l'aveva fatto sfogare, perfino divertita. Poi, senza parere, gli si era avvicinata e con un bastone gli aveva dato una mazzata terrificante sul capo, che, se non fosse stato il capo di un fauno, si sarebbe certo fracassato.

E quella bastonata gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo e adesso lui è qui, con il suo bravo bernoccolo, passato in secondo piano rispetto ai danni ben più gravi che sembra aver ricevuto il teatro delle sue imprese libertine. Esce dall'acqua e si pone a sedere su un sasso grattandosi la barbetta. E’ da un po' così quando sente venire, prima lontano, poi sempre più vicino, un rumore di rami spezzati, grida, latrati di cani e botti assordanti di cui non sa spiegarsi l'origine. E, con sua grande sorpresa, vede saltar fuori dai cespugli il capriolo, tutto spaurito e tremante, che corre verso l'acqua saltabeccando e si ferma poco distante da lui

Fauno: «Sei qui, birbantella!»

Fa per alzarsi per afferrare la bestiola quando sbucano dai cespugli due cani che abbaiano in modo furibondo e sembrano aver tutta l'intenzione di scagliarsi contro il capriolo, ma si fermano poco distante interdetti, avendo notato la presenza estranea di quel buffo personaggio, metà uomo e metà capra, contro il quale - per il momento - non sanno far altro che il muso dell'arme, in attesa dei loro padroni.

Che non tardano ad arrivare, trafelati anche loro, con degli strani strumenti in mano che il lettore riconoscerebbe subito come fucili, mentre un fauno potrebbe scambiarli, tutt’al più, per degli insoliti bastoni di ferro.

TITO 4B

 

Rimangono anche loro sorpresi nel trovarsi di fronte ben più che il capriolo che inseguivano. Esaminano da lontano la nuova bestia, parlottando tra loro e puntandole contro i fucili, incerti sul da farsi.

«Che diamine sarà mai?» fa il primo dei due.

«E che ne so? Sembra...» risponde l’altro.

«Non vedi che razza di piedi ha? Ed è tutto peloso!»

«Già. E le orecchie? Guarda le orecchie!»

Stanno sul chi va là, immobili come due statue. E il fauno, per dignità, fa un gestaccio per allontanarli: non che sia tanto sicuro, ma ci prova.

«Io gli sparo due pallettoni», dice uno dei due cacciatori.

«Sei matto? Senza sapere che animale è?»

«Prima gli sparo e poi lo esaminiamo per bene.»

«Già, e se poi risulta appartenere ad una specie protetta?» 

«Oh, al diavolo! Che facciamo allora?»

«Io mi riprendo il cane e me ne vado.»

«E il capriolo?»

«Al diavolo anche lui!»

Questo il loro parlottare. Dopo un po' ciascuno dei due avanza per riprendere al guinzaglio il proprio cane e andarsene, ma il capriolo, vedendoli fare quattro passi avanti, commette l'errore di darsi alla fuga. E i cani dietro. E dietro i cani i cacciatori. Tutti e cinque attraversano rapidamente il campo visivo del fauno che è rimasto lì senza capir niente - e scompaiono dall'altra parte della radura. Tutto il bosco torna a strepitare dei rumori di prima e il fauno rimane al centro di questo bailamme, sempre più stupito. Finché il capriolo, nella sua fuga alla cieca, capita di nuovo nella radura e si ferma in mezzo all'acqua. I cani si fermano anche questa volta a due passi da lui e i due cacciatori poco distante con i fucili puntati, pronti questa volta a sparare.

Il capriolo, ormai col fiatone e non sapendo a quale altro… santo votarsi, torna ad invocare la sua dea.

«Oh, dea! Aiutami tu...»

Se non altro ottiene l'effetto di sorprendere i cani e i cacciatori, ai quali non è ancora capitato, prima d'ora, di sentir parlare un capriolo. Ma, evidentemente, la dea non resta sorda al suo appello, perché il capriolo, in un baleno, è trasformato in quella che, con loro sommo stupore, i due uomini definiscono subito una ragazza (coi fiocchi), per di più vestita molto sommariamente, mentre il fauno riconosce la sua ninfa (e non fa caso al fatto che è seminuda, perché - da che mondo è mondo - i fauni le ninfe le hanno viste sempre così, anzi ... ).

Ma le sorprese non sono finite perché, quasi a vedere l'effetto del suo potere, è arrivata anche Diana in persona, che esordisce con un perentorio «Bèh? Che cosa sta succedendo qui?»

E’ il colmo per i due cacciatori. Le canne dei fucili a terra. Si guardano, non sapendo più che fare.

«Io me la filo», fa il primo, «va a finire che qui ci mettono in galera!»

«O in manicomio!»

«Andiamo via?»

«Aspetta un po'. Vediamo che cosa succede. Dopo tutto non sembra che ci sia pericolo.»

Ha ragione, in fondo. Davanti a loro non ci sono che una ragazza (carina, pensa il secondo cacciatore, che vede in lei una buona ragione per restare: non si sa mai...), un'altra donna (meno giovane, ma molto bella, anche se, dal cipiglio, non sembra affatto abbordabile, armata com'è d'arco e di frecce) ed uno strano essere che, a guardarlo, può suscitare piuttosto ilarità che paura.

Diana, rivolta ai due: «Allora? Si può sapere chi siete e perché ce l'avete tanto con questa qui?»

I due, sentendosi interpellati direttamente, provano a giustificarsi.

«Veramente... noi stavamo inseguendo un capriolo!»

Diana: «E perché?»

«Bèh, siamo cacciatori, no?»

E la dea: «E con che cosa cacciate se non avete né arco né lacci?»

E l’uomo: «Arco e lacci? Ma cosa dice questa? Abbiamo i fucili.»

Diana (scandendo): «Fu-ci-li?»

«Sì. Questi» e le mostra il fucile.

Diana è curiosa. Ed è una cacciatrice, interessata a tutto quanto di nuovo, nel campo della caccia, può essere inventato. Prende in mano il pesante arnese. Lo esamina con cura.

«E come può servire per la caccia questo oggetto?»

Il cacciatore si avvicina ancora un po’. E intanto le dà un’occhiatina alla scollatura. «Vuoi vedere?»

«Sì», fa la dea senza occuparsi d’altro.

Il cacciatore prende in mano il fucile. La ninfa fugge via e si nasconde dietro un albero: lei ha già sperimentato come funziona l'arnese. L'uomo prende di mira il lavandino di ceramica, poco lontano, e preme il grilletto. Un boato! E il lavandino va in frantumi, sbriciolato. 

Diana e il fauno fanno un salto all'indietro, spaventati, mentre la ninfa si è rannicchiata e tappata le orecchie per non sentire.

Diana: «Per Giove! Potevi avvertirmi!»

Il fauno non dice niente, ma, da come trema, si capisce che la cosa non lo ha lasciato indifferente. Diana torna vicino all'uomo e prende il fucile, caldo ancora e fumante.

«Però! Come funziona?»

«Così, vedi?» dice il cacciatore. «Si carica con una cartuccia, questa - (ne prende una dalla tasca) -, si infila qui. Poi si imbraccia, si punta e si preme il grilletto ecco, questo cosino qui, di metallo.»

E l’altro, dal suo posto: «Ti interessa, eh? Ti piace la caccia?»

«Se mi piace? Ma sai chi sono io?»

«Veramente no.»

Diana è infastidita: «Lasciamo perdere. Voi uomini siete sempre gli stessi.»

Il primo cacciatore si avvicina ancora di più, mellifluo: «Vuoi provare?»

«Vediamo.»

L’uomo carica il fucile, si accosta alla dea, le sistema l'arma aiutandola a imbracciarla correttamente. E intanto le si struscia un po’, così, senza parere. E si sta apprestando a spiegarle la faccenda del rinculo che lei ha già premuto il grilletto. Nuovo boato. E, naturalmente, la dea schizza via per terra a gambe levate. E rimane per un po' stordita.

Il fauno fa un balzo, in avanti questa volta: si tratta pur sempre di una dea, perbacco! «Brutto insolente! Che cosa le hai fatto? Io ti... ti…»

Si avvicina all'uomo con fare minaccioso, ma poi si ferma avendo visto l'altro che gli punta contro l'oggetto: non vuole fare la fine del lavandino. Non sa, intendiamoci, cosa sia un lavandino, ma, qualunque cosa sia, è lì, ridotto in pezzettini.

Intanto Diana si è ripresa. Sta lì, seduta a terra, massaggiandosi la spalla dolorante con la mano.

«Che cosa ho colpito?»

Il fauno: «Benedetta dea! Per poco non ci rimani stecchita e non pensi che a quello che hai colpito?»

«E allora? Cos'hai da dire tu?»

«Hai proprio la caccia nel sangue, eh?»

«Tu pensa agli affari tuoi. A ognuno il suo: tu non fai altro che andar dietro alle ragazzine, a me piace andare a caccia. Hai qualcosa da obiettare?»

Il fauno pensa al bernoccolo che ha in testa: «No, no, per carità! Facevo così per dire.» Poi, tra sé: «Che razza di femmina intrattabile! Non le farei il tiro neanche se fosse l'ultima donna sulla terra. Brrr! Alla larga!»

Si ritira di qualche passo. Così, casualmente, si appoggia all'albero dietro il quale è nascosta la ninfa. Diana si rialza. I due cacciatori hanno qualche timore per la sua reazione. Ma lei è calma. Prende il fucile e lo osserva, girandolo e rigirandolo.

«Fa un fracasso dell'inferno.»

«Eh, sì. Ma è efficace, no?» risponde l’uomo, che riprende la sua tattica di avvicinamento.

«Avete preso qualcosa?»

E lui, tronfio: «Guarda!»

Tira fuori dal carniere una decina di uccelletti: stornelli, per lo più, e qualche tordo. Tutti ridotti in modo pietoso dai pallini di piombo.

«Razza di vermi schifosi! Ed è questa la vostra caccia!?»

«Eh, non c'è altro... Tanto per sparare.»

«Siete proprio...»

E’ interrotta da un rumore strano. Una specie di puf puf soffocato, che si avvicina. Di lì a poco arriva, attraverso il sentiero, un uomo alla guida di un piccolo carro rombante, che ne traina un altro pieno di calcinacci. Senza far caso alle persone che sono lì, arriva nei pressi del fiumiciattolo, fa manovra e in un attimo scarica tutto sulla riva, intorbidando l'acqua per un buon tratto. Poi fa per andarsene. Crede, almeno, di poterlo fare. Diana salta su, inviperita: «Ma, dico! Che razza di bestia sei che sporchi il fiume in quel modo? Non ti vergogni?»

L'uomo ferma il trattore. La guarda. Nota il suo modo strano di vestire, l'arco e la faretra. Inarca le sopracciglia e sta per dire qualcosa quando incrocia lo sguardo dei due cacciatori, che si agitano e gli fanno cenno di star buono e di andarsene senza far tante storie. Fa le spallucce, allora, e riparte, seguito dallo sguardo fulminante della dea. Ma, per andar via, deve passare vicino al fauno.

«Sei tu che insozzi l'acqua, eh?»

Al veder quell'essere mostruoso l'uomo è preso dal panico e preme sull'acceleratore, ma non riesce ad evitare un terribile scappellotto sulla nuca. Fugge via spaventato.

Il susseguirsi rapido dell'azione e la reazione precedente di Diana preoccupano i due cacciatori. Anche i cani non sono a loro agio: si sono accostati ai padroni con la coda tra le gambe. Ogni tanto abbaiano, ma così, tanto per far vedere. La dea torna sui suoi passi e si rivolge agli uomini.

«Quello era della vostra terra?»

«Chi? Quello? Mai visto.» 

«Vestiva più o meno come voi.»

«Ti assicuro. Non lo conosciamo.»

La dea ha un aspetto minaccioso. Li osserva, scura in volto.

Il primo cacciatore, all’altro: «Sarà il caso di...» 

«Mi sa di sì.» 

Il primo, rivolto alla dea: «Bèh, noi andiamo adesso...»

«Sì, noi andiamo.»

Si allontanano, con finta disinvoltura. Escono di scena anche i cani, uno dei quali, prima di scomparire, si volta abbaiando forte, come a dire che ha avuto lui l'ultima parola.

Intanto il fauno ha ripreso a concedere le sue attenzioni alla ninfa, che sembra ora più tranquilla. Anche il suo corteggiatore non le fa più tanta paura, con quel che ha passato. Visti andar via i cacciatori, l'uno e l'altra tornano al centro della radura.

«Che strani tipi, eh?» fa lui.

Diana, dal suo posto: «Senti da che pulpito viene la predica.» 

Il fauno: «Perché? Cosa ho che non va?»

«Lascia stare... E tu?», rivolta alla ninfa, «Hai ricominciato da capo?»

La ragazza, timidamente: «Perché dici così?»

«Con questo, dico» e indica il fauno. «Prima fai la sdolcinata e lo stuzzichi e poi mi tocca intervenire a salvarti ogni volta.»

Il fauno, con tono protettivo: «Poverina...»

E lei: «Non ho fatto niente di male.»

«Certo! Non ha fatto niente di male.»

Diana: «Zitto tu, satiro.» 

Si guarda intorno: fa caso solo adesso allo stato miserabile in cui si trova la radura: «Ma guarda un po' in che condizioni è il bosco!»

Il fauno, contento che la dea si sia distratta: «Davvero! Una porcheria!»

«Che strani oggetti, poi», rincara la ninfa.

«E brutti.»

La dea: «Bisognerebbe riordinare un po'.» Sarà la dea della caccia, ma è sempre una donna. E questo è il suo ambiente naturale.

Il fauno: «E’ una parola! E chi lo dovrebbe fare? E poi: dove la mettiamo tutta questa roba?»

«E’ vero. E’ un peccato, però, lasciare tutto in disordine in questo modo.»

«Ci penserà il bosco a mangiarsi tutto.»

Diana: «Ma ci vorrà un sacco di tempo. E poi se quelli lì continuano a portar roba non ce la farà neanche.»

Il fauno vorrebbe tagliar corto per dedicarsi alla ninfa, che, da certi sguardi, non sembra più maldisposta.

«Bèh, allora io vado, eh?»

La dea: «Dove vai?»

«E che importa a te dove vado?»

«Figurati. Anzi, sta pure qui: me ne vado io. E tu - alla ninfa, in tono ironico - sei sicura di non aver bisogno di nulla?»

«Io? No, ti assicuro. Di nulla.»

Queste parole sono manna per il fauno, che mette su il suo sguardo più mielato.

Diana: «Addio, allora.»

Il fauno e la ragazza, insieme: «Addio!»

E già l'hanno dimenticata. La dea scompare. Il fauno e la ninfa si guardano e, mano nella mano, si avvicinano al fiume. Si siedono su un sasso, con i piedi – lei – e le zampe – lui - nell'acqua. Scherzano e ridono. Il fauno sembra un po' impaziente, lei si schermisce. Lui le prende la mano, lei la ritira ma sorride. Lui le si avvicina circondandole le spalle con un braccio e lei arrossisce ma non si scosta.

Macché. Non è proprio giornata per il fauno!

Un frastuono terribile. E in un baleno la radura è invasa da figure ben più mostruose di quella del fauno: strani personaggi, vestiti con tute di pelle colorata, guanti e stivali, e con una testa rotonda, anzi semisferica, senza occhi né orecchie, con una specie di vetrina scura davanti. E sono a cavallo di strani carri metallici con due ruote, che rombano in modo che romperebbero i timpani perfino a Vulcano.

Il fauno e la ninfa sono atterriti dai mostri metallici, che incominciano un carosello assordante intorno ai due poveri personaggi. Saltano da una parte all'altra, entrano nel fiume e ne escono schizzando acqua da tutte le parti. S’impennano tra i cespugli. Tornano indietro e poi di nuovo, tutto da capo. E riducono i due poveri malcapitati ad una specie di gruppo marmoreo vivente, fatto però di fango. La ninfa si è aggrappata al collo del fauno e si tiene stretta a lui: una situazione che al fauno non dispiacerebbe affatto, ma, in quel momento, non se ne accorge neppure.

Tutto dura pochi minuti, ma terribili. Poi, così come sono venuti, i mostri a due ruote con la testa di ferro colorato se ne vanno. Si sente il rombo allontanarsi e torna il silenzio. La ninfa si scosta un po' dal suo compagno.

Il fauno: «Che Giove li fulmini!»

La ninfa: «Ma cos'erano? Dei centauri?»

«Che dici!? I centauri sono degli esseri normali, un po' uomini e un po' cavalli. Questi sono mostri veri e propri!»

«Certo che la natura ne ha combinate di belle!»

«Ma tu dici che quegli esseri sono opera della natura?»

E lei: «Pensi di no?»

«Per carità! La natura non farebbe mai delle cose così brutte e rumorose.»

«E’ vero. Sono d'accordo.» Pausa: «Però...» Sorride, guardando il fauno.

«Cosa?»

«Tu non è che sei un campione di bellezza!» E scoppia a ridere.

Il fauno è un po' imbarazzato: «Lo ammetto, non sono una delle cose che le son riuscite meglio. Deve aver fatto un po' di confusione. Però...» 

Ha dimenticato i mostri e intenderebbe ricominciare dal punto in cui è stato interrotto.

«Dai, smettila. Adesso non ne ho più voglia.» 

Al fauno si gela il sangue nelle vene: «Come?» Implorante: «Non vedi? Non c'è più nessuno. Ci siamo solo io e te.» Le fa una carezza.

«No. Davvero. Non mi va. Non c'è più atmosfera. Quegli strani personaggi mi hanno spaventata.»

Il fauno si alza infuriato, rivolto verso il punto da dove sono scomparsi i motociclisti.

«Maledetti rompipalle, se vi prendo vi fracasso il cranio a tutti quanti siete!»

Lei: «Su, calmati. Non è successo niente, dopo tutto.»

«E’ proprio questo che mi fa imbestialire: che non è successo niente!». Si agita e urla, battendo le zampe a terra. «E non succederà mai, mai e poi mai niente, accidenti a me!»

«Ecco, lo vedi? Ricominci ad essere volgare.»

Lui la guarda con gli occhi fuori dalle orbite: «Me ne frego! Con voi non c'è che un sistema...»

Punto e a capo. Lei fugge e lui dietro. Avanti così, per un po'. Ma, sarà per la stanchezza, sarà per la testa che gli fa male, a un certo punto il fauno sente mancargli il respiro e il cuore quasi gli scoppia. Si ferma, con il gran petto villoso che si alza e si abbassa penosamente. Sbuffa come un mantice, appoggiandosi ad un albero.

«Maledetta...»

Mentre è ancora lì che cerca di riprendere fiato, sente un rumore alle sue spalle. Lungo la stradina che si addentra nel bosco arriva una specie di carro di ferro a quattro ruote, tutto chiuso, con due giovani a bordo, un ragazzo e una ragazza. Il carro di ferro si ferma in mezzo alla radura. I due escono e si avvicinano al fiumiciattolo. Si siedono sul sasso dove prima si trovavano il fauno e la ninfa e incominciano le loro effusioni. Si baciano e si accarezzano con trasporto. Il fauno, nascosto dietro ad un cespuglio, li guarda eccitato. Tutto preso da quella scena non fa caso ad una nuova presenza: qualcuno si è avvicinato silenziosamente alle sue spalle e lo osserva. Poi osserva i due giovani. Poi di nuovo lui. 

E’ Pan. Sì, proprio Pan, il dio dei boschi.

Ridacchia: «Povero vecchio fauno!»

Quello fa un salto e riconosce il suo dio: «Ah, sei tu? Che ci fai qui?»

«Io? Tu, piuttosto, che ci fai qui… Ti sei ridotto a fare il guardone?»

«Macché guardone... Ero qui, di passaggio!»

«Sì, sì. Stiamo arrugginendo, eh?»

«Sapessi... Me ne sono capitate di tutti i colori!»

«Va là... Scuse! Sarà meglio che tu ti metta in pensione.»

«E piantala! Già sono abbastanza incavolato, non ti ci mettere anche tu.»

«Non hai rimediato niente?»

Il fauno: «Non è detta l'ultima parola. Aspetta che mi sia riposato un po'.»

Il parlottare, però, rivela la loro presenza tra i cespugli e i due ragazzi se ne accorgono.

Lei: «Andiamo via. Ho paura!»

Lui: «I soliti guardoni!» Prende un sasso e si alza: «Vecchi schifosi che non siete altro!»

Lancia il sasso che penetra tra i rami e sfiora proprio il dio Pan, che si acquatta per nascondersi.

«Ma cos'hanno quei due?»

Il ragazzo lancia un altro sasso. Poi un altro ancora. Pan e il fauno devono ritirarsi indecorosamente. Ma anche i due giovani, per le insistenze di lei, risalgono sulla macchina e se ne vanno. Pan e il fauno ritornano nella radura.

Fauno: «Che vita da cani...»

Pan: «Ma guarda! Io, il dio Pan, preso a sassate come un cialtrone qualsiasi!»

«E ti è andata bene. Questo bosco è popolato da gente strana. E pericolosa per di più.»

E gli racconta dei due cacciatori, dell'uomo col carretto di ferro e degli strani centauri a due ruote.

Pan: «Sta cambiando tutto. E questo bosco è irriconoscibile!»

Fauno: «Lo vedi? Il mio bosco...» e pensa a tutte le avventure che ha avuto in quei luoghi.

Pan: «Non ti scoraggiare, adesso. Andrà meglio un'altra volta.»

«Incomincio a crederci poco.»

Mentre sono lì a consolarsi a vicenda e a raccontarsi i bei tempi di una volta, arriva, fischiettando, un ragazzino. Si avvicina al fiume. Dà un'occhiata distratta ai due figuri e tira dritto verso l'acqua, dicendo:

«Fatevi più in là. Devo pescare.»

Il fauno e Pan si guardano esterrefatti e si spostano. Il ragazzino tira fuori una specie di tubo e ne ottiene una lunga canna tirando fuori altri pezzi di tubo sempre più sottili e flessibili. Dalla cima pende un filo sottilissimo, quasi invisibile. Da un sacchetto il piccolo pescatore tira fuori un vermiciattolo rosso e lo infila in un gancetto di ferro che è legato all'estremità del filo. Poi prende una manciata di vermetti bianchi e rossi e li getta in mezzo al fiume, dall'altra parte, sotto gli alberi, dove c'è una pozza d'acqua profonda. E incomincia a tirar fuori un pesciolino dopo l'altro. Il fauno e Pan lo osservano. Pan si avvicina.

«Com'è che fai a tirar fuori dall'acqua i pesci con tanta facilità?»

Il ragazzino, senza voltarsi, intento alla pesca: «Non mi scocciare, vecchio. Pensa agli affari tuoi.»

Pan, di stucco: «Uhé! Come ti permetti di trattarmi così?»

Il ragazzino sbuffa e non risponde. Continua a pescare.

«Ehi! Dico a te! Ma lo sai chi sono io?»

Il ragazzino: «Ma chi ti ha detto niente? Lasciami in pace.»

«Ma guarda che...»

Il fauno s’intromette, ormai esperto: «Sta attento, Pan! Da questa gente qui c’è da aspettarsi di tutto, te l'ho detto!»

«Ma se è un moccioso...»

Il fauno; «Io non mi fiderei lo stesso.»

Pan, stizzito, al ragazzino: «Voltati tu! Guardami.»

Il ragazzino si volta. Lo guarda. Nota la stranezza del suo corpo.

«Scusami, non mi ero accorto che sei handicappato.»

Pan: «Han… handicappato a me? Fauno, hai sentito? Mi ha dato dell'handicappato!»

«Te l'avevo detto. Non c'è più religione…«

«Brutto mostriciattolo che non sei altro!»

Il ragazzino: «Ci vuole il tuo coraggio a dare del mostriciattolo a me. Ti sei mai guardato allo specchio?»

«Insolente! Se non fossi così piccolo, io ti... io ti...» , si agita e non gli vengono le parole.

Il ragazzino: «Ho capito, va. Ho capito.»

Richiude pian piano la canna e ripone gli attrezzi. Raccoglie la sua roba e si allontana seccato. Giunto al margine della radura si volta e con la mano sinistra e il gomito destro fa un gestaccio, e se ne va.

Pan: «Ma tu guarda quel fetente!»

Fauno: «Lascialo perdere.»

Pan è mortificato. Ferito nell'orgoglio. Ma si sente impotente. Il fauno, ormai più esperto, la prende con filosofia.

«Sono fatti così.»

«Bel mondo, proprio!» 

Rimangono un po' lì a riflettere.

Pan: «Io me ne vado.» 

Fauno: «Dove?» 

«A cercarmi un bosco più tranquillo.» 

«Dici che c'è?»

«Ci sarà pure da qualche parte.» 

«Chissà!

Pan si allontana.

Il fauno: «Aspetta, vengo anch'io. Ho paura a restare qui da solo.»

Lo raggiunge. Così, camminando uno accanto all'altro e borbottando, escono di scena, patetici superstiti di un mondo che non c'è più.

La radura rimane vuota. Restano solo i rifiuti e le cianfrusaglie varie sparse qua e là. L'acqua del ruscello continua a scorrere tra i sassi e i ciuffi d'erba, gorgogliando anche lei la sua storia. Una storia che forse racconta, anche quella, del buon tempo antico, quando l'acqua era limpida e pura, l'aria leggera e profumata e nel bosco fauni e ninfe si rincorrevano per fare all'amore.

 

 

IL RACCONTO E' TRATTO DA RONDINI E GABBIANI

Rondini e gabbiani D                                                                     Foto indice C

 

 

 

 

Sinossi 

 

RONDINI E GABBIANI

 

Queste operette sono nate nell’arco di un lungo periodo di tempo e sono state destinate alla lettura di adolescenti: era un modo insolito per parlare loro di temi seri e importanti a volte perfino dolorosi, con un linguaggio e una modalità di esposizione che consentissero di farli arrivare alla loro sensibilità con leggerezza e, perché no?, anche con un sorriso: la vita e la necessità della selezione naturale (I bucaneve, La leggenda della Vita e della Morte), il desiderio di indipendenza e libertà dei giovani (La piccola rondine e l’Orizzonte), la “trappola” della bellezza (In vetrina), l’amore (Venuta dal mare, La Sirena del lago), il rapporto con la natura (Il guardiano del faro, Il pomeriggio di un fauno), il rispetto per gli animali (Il clown), con la diversità, la guerra (Partita a scacchi), la solidarietà (Rifiuti).

 

Quarta di copertina

 

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, disse la volpe al piccolo principe. E’ che bisogna semplicemente imparare a guardare. E a volte, per poter guardare - e vedere - bisogna avere il coraggio di andar via, lontano: la verità si nasconde in luoghi imprevedibili. Perfino nelle favole. 

 

 

 

scritto da Marirò Savoia 

 

Rondinie gabbiani  (ed altri esseri strani)

                       Favole di Carlo Mazzei, disegni e copertina di Tito Mazzei

                       Stampato in Amazon Italia Logistica S.r.L.Torrazza Piemonte (TO) - 2022

 

 

Ho appena finito di leggere Rondini e Gabbiani e devo dire che mi è molto piaciuto.

 

Margherita sarà orgogliosa del nonno, che attraverso queste favole molto particolari dialoga con delicatezza e sensibilità, in un linguaggio semplice e lieve, poetico oserei dire, intorno a temi spinosi e spesso complicati, con lei e con tutti i ragazzi (e con gli adulti) che le leggeranno. 

 

Ai suggerimenti di vita che senti di dover dare per spronare i giovani lettori a vedere il mondo da un altro punto di vista che non sia quello consueto, alla sollecitazione di seguire la propria natura per raggiungere il proprio orizzonte, anche a costo di rischi e sacrifici, si mescolano le tue ansie per il mondo ormai degradato in cui tocca loro vivere. Sei preoccupato, e si sente, dal cambiamento, spesso fonte di dolore, ma suggerisci ribellione o vie di fuga alternative. Sembri dire “mi dispiace di ciò che è questo mondo, ma non dimenticate che ciascuno è artefice della propria vita e può comunque scoprire il bello di viverla”.

 

Mi ha intenerito l’amore mancato tra la sirena e l’umano che non si accontentava e il rimpianto di entrambi per quello che sarebbe potuto essere un grande amore e che finisce con l’essere soltanto scambio di parole, l’incontro di un canto e di una voce.

 

Trovo bellissima l’interazione tra la vita e la morte, prima amiche inseparabili e poi, a causa dell’uomo, in forte antitesi.

 

Sei riuscito a farmi sorridere con l’ultima favola (credo che Margherita non sia ancora pronta a capirla, o sì?). Ti sarai divertito un mondo a scriverla e a usare la tua leggera ma penetrante ironia.

 

Ti vedo, in alto, con la tua tastiera mentre trovi soluzioni accettabili in situazioni impossibili, in cui i personaggi ti hanno trascinato, come tramutare in gabbiano il vecchio guardiano del faro, libero finalmente di volare in alto.

 

A volte però neanche tu puoi compiere miracoli ed ecco che un colpo di pistola pone fine al disadattamento irreversibile di un povero orso. In questo caso però ti meriti il sarcasmo, che sa di rimprovero, della bimba che voleva aiutare l’orso: “Sei contento ora?”

 

Ti riscatti comunque con la rassicurazione che la forza di volontà e il credere fermamente possa far volare un gabbiano ferito e far ritornare giovane e bella una vecchia strega o far vivere  a due manichini la vita degli umani.

 

Per finire, trovo duro ma necessario lo sprone a separare la realtà dal sogno e a comprenderne la differenza: “La realtà è la realtà e basta. E i sogni sono i sogni”.

 

I sogni possono preparare la gioia, ma è la realtà a realizzarla…

 

Inutile dire  che i disegni di Tito sono incantevoli, realistici e onirici insieme. Penso che nelle rondini e nei gabbiani che volano in alto si trovi la sua anima, libera finalmente dal peso della “gravità terrestre”.

 

Un forte abbraccio a entrambi.

Marirò

 

 

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Immagini dal libro - disegni di Tito Mazzei

 

Venuta dal mare     TITO 1B TITO 2C

 

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Il racconto  VENUTA DAL MARE di Carlo MAZZEI (confronta l'indice del libro Rondini e Gabbiani) è in AUDIBLE anche come audiolibro. 

sotto la copertina dell'audiolibro in AUDIBLE

che puoi ascoltare pure 

in YOUTUBE  :   https://www.youtube.com/watch?v=Ele1hhqPEbg&t=77s

 

 

 

 Venuta audiolibro

 

 

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