Eroe, no/sì grazie
Eroe, no/sì grazie
Sospendo il discorso sulla creatività; lo riprenderò in giorni sereni.
In queste ore di incubi approfittiamo per assumere consapevolezze su come siamo, come ci esprimiamo, come distorciamo la realtà. Per esempio a volte prendiamo in prestito parole che per loro natura creano effetti e acchiappano lettori e ascoltatori. In questo i giornalisti sono maestri.
Tutte le parole hanno una storia: col tempo si modificano nella fonia, nella grafia, nel significato che veicolano. In particolare quelle che esprimono concetti o addirittura visioni del mondo, abusate, si svuotano del significato originale e se ne vanno in giro con la fierezza del nulla. Penso a “democrazia”, “giustizia”, “uguaglianza”. Diventano parole che ci abituano alle bugie. Si pensi ai tribunali, alla scritta “La legge è uguale per tutti” e se si vede che sotto c’è un giudice, magari scrupoloso e imparziale, concludiamo che il suo lavoro si svolge all’interno di una grossa bugia.
Ci sono anche parole dalla strana vicenda: sono borderline, al confine tra un onesto mantenimento del significato reale e una fuga verso la più grossolana impostura.
“Eroe” è una di queste.
Per un attimo torniamo a scuola, in prima media. Secondo Omero e per l’insegnante che spiegava, Achille era un eroe: semidio, “quasi immortale”, quantomeno difficile da abbattere, che andava in battaglia sicuro che sarebbe tornato a casa. Tra gli eroi c’era pure Ettore, mortale, che lottava per la sua gente, la difendeva dagli assalitori rischiando la vita. Io, undici anni, restavo perplesso: Ettore e Achille, soprattutto Omero e l’insegnante, mi davano da pensare su di noi, esseri umani, e sulle nostre contraddizioni. Sul fatto che parliamo senza meditare sulle parole.
Più avanti nel tempo ho letto del sacrificio di Salvo D’Acquisto, vice brigadiere, che dopo aver tentato a lungo e inutilmente di dissuadere il comandante tedesco di fucilare per rappresaglia ventidue cittadini, si offre come volontario per essere fucilato al posto degli ostaggi: (settembre 1943 -Torrimpietra, nel Lazio). Con Salvo D’Acquisto il significato della parola “eroe” è così forte che genera il superamento della dimensione umana. Appunto, l’eroe!
Se leggiamo il dizionario notiamo che per “eroe” coesistano significati diversi. “Semidio”, che compie imprese eccezionali: caspita, Achille è un eroe! “Chi lotta e si sacrifica per un ideale”: Salvo D’Acquisto sicuramente. “Personaggio principale di un’opera” (romanzo, film): significato del tutto differente, mettiamolo da parte.
Adesso capiamo perché questa parola “eroe” si presta a un uso sconsiderato. Nel recente passato alcuni mercenari furono fucilati, una volta prigionieri nel Paese contro il quale erano andati a combattere. Per giornali e giornalisti questi “soldati di mestiere” erano eroi. Se rileggiamo le definizioni del dizionario, non ci stanno dentro: perché i mercenari non sono semidei, non sono generosi e non hanno ideali e non sono nemmeno personaggi di un film come Silvester Stallone. Ah, giornalisti! Fanno e disfano non solo le notizie, anche le parole.
Tempo fa è diventato eroe uno che aveva inveito contro chi era responsabile di un dramma che si stava consumando a bordo di una nave di passeggeri. Quando lesse sui giornali che per questo lo chiamavano eroe, si incazzò di nuovo. È vero era “incazzuso”, però aveva ragione.
E in questi giorni è accaduta più o meno la stessa cosa.
Gennaro Arma, comandante di una nave da crociera - la Diamond Princess - zeppa di turisti bloccati in quarantena nella baia di Yokohama, in Giappone, ha mantenuto la calma e l’ordine tra i 3.700 passeggeri di 56 nazioni e quando la situazione si è sbloccata è sceso per ultimo, come di regola.
La Princess Cruises, società armatrice della nave, lo ha definito eroe. E la moglie invece ha precisato: il giudizio della compagnia è gratificante, ma mio marito, non è un eroe. Si è comportato come doveva.
Forse qui subentra un dato ben preciso: quello che pochi fanno il proprio dovere e quelli che lo fanno sono eroi. Stiamo combinati veramente male.
E a proposito di come siamo e per ciò che facciamo qualcuno (truce) ha detto: “Ci meritiamo il corona”. Qualcun altro (illuso): “Dopo il corona saremo migliori”. Sono convinto che chi si esprime con frasi simili è un cretino. Come coloro che parlano di eroi senza pensare a ciò che dicono.
Eppure in questi giorni si può parlare in un certo senso di eroi, perché, messe da parte alcune motivazioni (come il bisogno di lavorare), infermieri e medici rispondono alle richieste degli ospedali, consapevoli di andare a un fronte di guerra contro un nemico da cui è difficile difendersi, sanno che avranno protezioni poco adatte come scudi e che per questo decine di loro colleghi sono caduti in battaglia.
30.03.2020